Non dubito che Marcelo Bielsa sia un buon allenatore tendente (qualche volta) all’ottimo. Vivacchiava ai margini del nostro lubrìco suk da tempo immemorabile, ma questo, ça va sans dire, non è e non può essere una colpa. Quello che ho trovato francamente sgradevole è l’improvviso inchino dei media italiani non appena il suo nome è stato affiancato a quello dell’Inter.
Poche righe sull’esclusione della sua Argentina fin dal primo turno del rodeo nippo-coreano del 2002 (nonostante un attacco che poteva contare su Gabriel Batistuta e Hernan Crespo); ripeto, al primo turno. E l’avventura africana del suo Cile, schiantatosi contro il Brasile già negli ottavi, celebrata come un’epopea.
Dicono che abbia rifiutato l’offerta di Massimo Moratti e preferito l’Athletic Bilbao. Fossi negli interisti, ci riderei su. E sorriderei anche di fronte alle note e ai ritornelli impiegati dalla stampa, di regime e non, per cantare le lodi di questo «genio» eccentrico e maniacale. Un tizio che si è fatto costruire un campo di calcio a casa sua e, se gli viene l’ispirazione, usa familiari e famigli come giocatori. Il pensiero corre, leggero e soave, al Fantozzi della «Corazzata Potemkin». Nel dettaglio, a come liquidò, solo contro tutti, il capolavoro di Sergej Ejzenstein. Solo contro tutti, lui. Noi, viceversa, tutti per uno. Un altro film. Il solito.