Della festa, egli dice, anch’io son parte

Roberto Beccantini5 dicembre 2022

Diario mondiale, quindicesima puntata. Mi ritorni in mente, freddo come sei. Nella finale di Coppa dei Campioni del 1986, Helmut Ducadam li parò tutti, quattro su quattro, e così la Steaua, «ferma» a due, prevalse comunque sul Barcellona dopo lo 0-0 di Siviglia. Dominik Livakovic, più casto, ne neutralizza tre su quattro, e dal momento che i colleghi – Vlasic, Brozovic, Pasalic – tre su quattro li realizzano, ai quarti va la Croazia.

Lotteria o no, i rigori restano un viaggio freudiano nel sistema nervoso dell’uomo. Al 120’, quando le gambe sono tronchi e il fiato corto, subentrano e decidono la mira, i nervi, i riflessi, tante cose, non solo lo sghignazzare degli dei annoiati.

Livakovic diventa, così, il piccolo, grande eroe di una partita che le reti di Maeda, in mischia, e di Perisic, di testa, avevano consegnato a un 1-1 di basso livello: meglio il Giappone in avvio, un po’ meglio la Croazia alla distanza. Il ct Dalic, a un certo punto, aveva tolto sia Modric sia Perisic, uno dei più carichi. Pensavo a un errore prospettico, in vista dei penalty. Il destino aveva altri disegni. I calcoli e la paura, che sempre s’intrufolano nel pancione delle sfide secche, hanno scortato le squadre ai supplementari, e da lì alla sparatoria dal dischetto. Livaja colpiva il palo, dei samurai segnava solo Asano; non Minamino, neppure Mitoma e manco Yoshida. «Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi», ammoniva Brecht. Vero. Talvolta, però, sono utili. E allora teniamoci il portiere di Saba, rovesciandone il sentimento e la morale: «Della festa – egli dice – anch’io son parte». E pazienza se ai nippo erano venuti gli alluci molli.

Kylian ne va plus. «Maestrini» in cattedra

Roberto Beccantini4 dicembre 2022

Diario mondiale, quattordicesima puntata. Leo Messi nell’Argentina. Kylian Mbappé nella Francia. Lassù, dove osano le aquile, è il Mondiale dei fuoriclasse. Per ora. I fuoriclasse assoluti, però: non i «predestinati» allattati e svezzati dalla propaganda. La Pulce ne ha 35, il Lampo 24 tra poco (il 20 dicembre). In attesa delle ultime verità, e volontà, di Cristiano, 38 a febbraio, Mbappé ha indirizzato e timbrato Francia-Polonia 3-1. Una Francia normalissima e una Polonia un po’ meno melafacciosotto dell’ultima. Un po’ meno, sì, ma non troppo. Al ct Michniewicz l’oscar della fifa (effe minuscola).

Les joueurs, les joueurs. Dunque: dopo che Giroud si era mangiato un gol, idem la ditta Zielinski & Kaminski (con tre tiri e tre parate: di Lloris, di Theo, di Varane), il centravanti dettava il lancio a Mbappé che lo serviva «di violino». Kiwior non coglieva l’attimo, Olivier sì. Poi calma piatta fino al raddoppio: Polska in avanti, Griezmann in versione stopper (ripeto: stopper. Con Deschamps, non con Deseccetera) spazzava l’area innescando il contropiede (coraggio). Giroud ignorava Dembélé – in crescendo, come Rabiot – e serviva Mbappé. Il destro era un jab di Muhammad Ali, e Szczesny-Foreman aveva esaurito la scorta dei miracoli. Quindi ancora Kylian: altra sventola, nell’altro angolo. Cinque reti sulle nove dei bleus, capo-cannoniere. Tramontava, la sfida, su un rigore varista, per mani-comio di Upamecano,
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Mille e una notte (con brivido)

Roberto Beccantini3 dicembre 2022

Era alla millesima partita in carriera e nelle sfide secche di un Mondiale non aveva mai segnato. Leo Messi. Una palla rubacchiata a Otamendi e, dal cuore dell’area, un sinistro affilato come il bisturi che il chirurgo cala nella pancia del destino. Le lavagne e i Pep, per carità. L’assoluto, però, ha precedenza: sempre. Non basta? E chi se ne frega: non ti curar di lor, ma guarda e passa.

Argentina-Australia 2-1 è soprattutto lì, non solo lì. Perché al 97’ è stato Emiliano Martinez, il portiere, a inchiodare il tabellino buttandosi su Kuol. In precedenza, un autogol randagio di Enzo Fernandez su randellata di Goodwin aveva riaperto una gara che sembrava sepolta; e Behich, addirittura, aveva sfiorato un gol alla Messi, proprio così. Ha salvato Martinez. L’altro. Lisandro. Lo stopper. Quello che aveva sostituito il Papu.

I canguri erano sotto per il genio di Leo e l’arroganza di un portiere, Ryan, che si era messo a dribblare sull’uscio di casa. Disturbato da de Paul, uccellato da Alvarez. Complimenti. Non un’Argentina da applausi, a essere schietti. Grigia e sterile per un tempo, baciata dagli dei della costruzione dal basso, sempre umile – a volte fin troppo – sprecona in Lau-Toro, quando la Pulce gli ha spalancato la porta in almeno un paio di occasioni.

Un Papu in grisaglia aveva rimpiazzato Di Maria. Migliore in campo, Leo a parte, de Paul: sempre nel vivo, sempre a strappar palloni. Più i due Martinez. Scritto che la giostra delle staffette ha premiato Scaloni meno di Arnold, il risultato ribadisce che, se non chiudi le gare, sono cavoli tuoi; e che più in generale, sul piano tecnico, la base si è alzata e il tetto abbassato. Riguarda l’umanità, non Messi. Primo quarto, dunque, Olanda-Argentina. Nel 2014, ai rigori, vinse la selecciòn.