Pazza Inter. E il solito «circo» Spalletti

Roberto Beccantini12 ottobre 2022

Riecco la pazza Inter, l’Inter grande e «loca» dell’album di famiglia. Il 3-3 del Camp Nou vale oro e la spinge verso gli ottavi, dove era già approdato lo splendido Napoli d’autunno, ma che partita, tutti, e che spreco, Asllani, al 96’, con Ter Stegen, molto più impegnato di Onana, a evitare che il risultato diventasse impresa. L’assist glielo aveva fornito Lau-Toro, autore del raddoppio, un rasoio calato sul portiere da un palo all’altro. Primo tempo da 4, l’argentino, secondo da 8. Davanti a 94 mila testimoni, come avrebbe chiosato l’inarrivabile Ciotti, i vice campioni spiegano al Barça di Xavi che il tiki-taka, quando è tutto, significa poco.

In Catalogna avevano i nervi a fior di pelle: d’accordo, il braccio «scomparso» di Dumfries a San Siro, ma c’è modo e modo di reagire. Quando poi il trascinatore è Dembélé (da rosso, comunque, una sua pedata a Darmian), uhm, qualcosa non torna. Lewandowski, magari. Come Martinez, in branda per metà gara, ma poi in versione «bavarese»: doppietta (sul primo, complice Bastoni). Bastoni, proprio lui che aveva pescato Barella per il controllo e la fiondata di una rete sciccosa. Da uno stopper a un centrocampista: e proprio là dove le stesse cose le insegnava il Pep.

Ricapitolando: Dembélé, Barella, Lau-Taro, Lewa, Gosens, ancora Lewa. Senza dimenticare la traversa di Dzeko (con tapin svirgolato da De Vrij), altre occasioni, periodi di catenaccio, ma anche momenti di transizioni fulminee, letali. Inzaghi e i suoi hanno dimostrato personalità, non solo carattere o propensioni ostruttive. I catalani avevano giocato meglio al Meazza. Gavi e Pedri, impiegato quasi da punta, sono «bellini» e «precisini», Barella è magari più casinista ma sa «attaccare lo spazio» e, se Piqué è un vigile distratto, gli fa le corna e sgasa via.
Leggi tutto l’articolo…

Resa umiliante

Roberto Beccantini11 ottobre 2022

Ad Haifa, non lontano da dove nacque l’Unico che, forse, avrebbe potuto cambiare qualcosa (e qualcuno. Forse), è finita la Juventus già finita di un mai (ri)cominciato Allegri. Il Maccabi, squadra modesta, le ha inflitto un secco 2-0 che la esclude virtualmente dalla Champions (solo?) e da una dignità che avrebbe dovuto essere l’ultima stampella. I gol li ha realizzati Omer Atzili: di schiena e di sinistro. Quello dei tre pali allo Stadium. Quello che, senza Yom Kippur, chissà all’andata.

Dieci punti dal Napoli. Sul filo del filo in Europa. E siamo appena a metà ottobre. E’ il modo che irrita. Per carità, i cicli finiscono e ricominciano, il mondo è pieno di sorprese, di trappole, di calcoli sbagliati. Di cadute e di risurrezioni. Però c’è un limite. Né polvere da sparo né polvere di stelle (?), la Juventus. Polvere. Szczesny amletico, Di Maria che fa male o si fa male (flessori, otra vez), i reparti slabbrati e lontani, gli avversari avanzanti in livrea, mica in tuta: non ce n’era bisogno.

Non si tratta di infierire: si tratta di riferire. Sin dall’inizio, gente che si manda a quel paese. Nessuno crede più in Allegri e Allegri non crede più in niente, vista l’ennesima formazione-lotteria, con Cuadrado un po’ di qua e un po’ di là, Rugani al fianco di Bonucci, McKennie in un ruolo che troppo lo imprigiona, ammesso che ce ne sia uno che lo libera.

Senza gioco, senz’anima. Sono entrati Milik e Kostic, Locatelli e Kean, ricordo un’incornata di Vlahovic sventata da Cohen (già, c’era una volta Vlahovic), ma la cronaca di una serata è un pretesto, conta la storia di un periodo, «questo» periodo, dal ritorno del «feticista dei risultati», secondo la «Suddeutsche Zeitung», allo scempio di oggi, che poi era ieri e, temo, sarà domani.
Leggi tutto l’articolo…

Provincia grande, Napoli solo

Roberto Beccantini9 ottobre 2022

Un romanzo fra il cuore di De Amicis e gli arrembaggi di Salgari. Udinese-Atalanta 2-2 è stata una serenata alla provincia che, già in passato, regalava tesori, visioni, personaggi, da Vendrame a Pablito. E’ difficile che una delle due possa diventare il «nostro» Leicester o ripetere l’impresa del Verona etichetta 1985. Molto difficile. Ma il Mondiale d’autunno è cesura strana, nuova, di complicata traduzione. Vedremo.

Nel frattempo godiamoci questi vascelli guerrieri, questi allenatori che portano idee, loro sì. L’antipatico Gasperini, l’umile Sottil. Vinceva 2-0, la Dea. Non più a «fantasia anteriore», come ai tempi del Papu e di Ilicic, ma bloccata su misura intorno al sinistro di Koopmeiners. Che le mancasse la dorsale difensiva Djimsiti-Palomino-Toloi, ce ne siamo accorti nella ripresa. Marca a uomo – in avanti, possibilmente – e in trasferta è più a suo agio che in casa. L’Udinese è più verticale e non meno inglese, con Pereyra e Deulofeu che le garantiscono estro. Deulofeu, scuola Barça, è da un po’ che, per dirla alla Boskov, vede autostrada dove gli altri solo sentieri.

Non hanno campioni, hanno fame. Una gran fame. Di gioco. Di vincere. E’ cambiata, l’ordalia, con i cambi. Gasp, alla 300a., ha smontato l’attacco: via Muriel, via Lookman. Dentro Hojlund e Malinovskyi. Ecco: Muriel. Il migliore. Assist a Lookman, copia dell’azione e delle rete che aveva stecchito la Fiorentina, più rigore procurato e trasformato. Non lo avrei tolto. Sottil, lui, ha ricavato più birra, e più ciccia, dagli innesti di Samardzic, Arslan e Success (al posto di un uggioso Beto).

Punizione di Deulofeu, zuccata di Perez su azione Deulofeu-Pereyra. Et voilà. Poi scaramucce bi-partisan fino alla fine. L’Udinese è squadra di rimonte (siamo alla quinta), l’Atalanta squadra che può sprecare un gruzzolo. Mai, però, l’anima.
Leggi tutto l’articolo…