Pioli sta dando il meglio, Allegri l’ha dato

Roberto Beccantini8 ottobre 2022

Anche così, più mutilato della Juventus, vince il Milan. La sentenza, netta, la orienta un gol «sporco» di Tomori, in mischia, al crepuscolo del primo tempo. Sbagliano in due: Orsato, che sorvola sul contatto fra Theo e Cuadrado a monte dell’angolo-fiammifero; e poi Alex Sandro, che si appisola al momento del dunque. [In precedenza, l’arbitro aveva ritenuto «innocente» un mani-comio di Vlahovic].

Morale della (non) favola: lo scudetto è già un miraggio alla nona, come la scorsa stagione. Pioli sta dando il meglio di sé, Allegri l’ha dato. Sono dettagli non marginali. Il quarto d’ora con cui l’ex Tiranna prende di petto gli avversari, sfiorando il gol con Kostic (ciccatona), appartiene al repertorio della normalità europea e non dei catechismi aziendali. Milik fa da ponte tra Vlahovic e il centrocampo, dove Rabiot sembra il più vivo, ebbene sì. Bisognerebbe lavorare ai fianchi Gabbia e Tomori, proprio lui, ma piano piano Tonali prende campo e, a sinistra, la catena Theo-Leao comincia a girare. Due pali di Leao, di tacco e dal limite, e, in generale, un presidio del territorio, con Bennacer e Pobega, in linea con i fioretti. E le ambizioni.

Il giallo beccato al 25’ riduce l’hybris difensiva di Cuadrado, togliendo sicurezza anche a Danilo. Leao si accentra come il colombiano, il problema sono gli esiti. Non che i campioni pressino alla morte, ma di sicuro più di rivali che, esaurite le bollicine dell’aperitivo, non portano al tiro né serbi né polacchi. Alla ripresa, l’ordalia diventa un tamburello invasato e invasivo, ci si morde di qua e ci si graffia di là. E se Tatarusanu risponde solo a qualche telefonata, Szczesny si immolerà su Origi.
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Gran botta e piccoli botti

Roberto Beccantini5 ottobre 2022

Noblesse oblige, precedenza a Stamford Bridge. Le lavagne, anche quelle di Pioli, possono supplire fino a un certo punto, se ti presenti così incerottato. Specialmente in Champions. E allora: Chelsea-Milan 3-0. «Marcatissimo» in campo e al mercato, Leao ci ha provato, ma la differenza piano piano è venuta fuori. Il Chelsea di Potter, più verticale e meno «ansiogeno» della versione tucheliana, ha alternato il pressing a transizioni fulminanti. Dal taccuino emerge un dato singolare: ha tirato poco, il Milan. Pochissimo. Anche se un guizzo di Leao – e di chi, se no? – aveva spalancato la porta a De Ketelaere e Krunic. Sarebbe stato l’uno pari.

I blues hanno banchettato con Fofana, Aubameyang e James. Dalle fasce pioveva di tutto e, nel cuore della difesa, Koulibaly e Thiago Silva hanno imprigionato la barba di Giroud, l’ex di turno. Al contrario di Tomori, Kalulu e Ballo-Touré, in perenne balia degli eventi, «dimenticati» com’erano da Tonali e Bennacer. Tutti in due punti, gruppo incasinatissimo: può ancora succedere molto.

Allo Stadium, fra una squadra dal gioco modesto e un’altra di giocatori modesti, ha vinto la prima. Tre a uno. Gol di Rabiot, Vlahovic (che se ne è mangiati altri tre) e ancora Rabiot, il francese già ceduto al Manchester United e ripescato dalla mamma. In tutti, il sinistro di Di Maria: imbucata, esterno in contropiede, parabola su angolo. A 34 anni, il Fideo è un bandolero stanco ma geniale. Squalificato, salterà il Milan, per rispetto del quale Allegri aveva mescolato le carte, avvicendando Bonucci, Locatelli e Milik.

Lontano dalla «Raspody» del Napoli olandese, sino al 75’ o giù di lì la Juventus era in controllo: a suo modo, scodinzolando dietro al Fideo, il chirurgo che, operato il risultato, pensava di potersi fidare degli assistenti. Un’uscita sciagurata di Szczesny
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Il riscatto e la bellezza

Roberto Beccantini5 ottobre 2022

Little big Italy (per modo di dire, visto l’alto tasso di stranieri). Si brinda in Champions, anche se siamo appena ai gironi, come ai vecchi tempi. Il rasoio di Calhanoglu stende il Barcellona. A naso, dalle parti di Inzaghino, sento trombe (e non più trombature). Naturalmente, ha azzeccato tutto. I cambi, per esempio: Onana e non Handanovic, Darmian e non Dumfries, De Vrij e non Acerbi, Mkhitaryan e non Asllani, Correa e non Dzeko. E pure i cambi dei cambi, ma sì. Alé.

Era in crisi, l’Inter, e il suo allenatore in bilico. Vince di corto muso, soffrendo e ruggendo, con un catenaccione progressivo che disarma un Barça il cui tiki taka – lontano da Messi, Iniesta e dall’architettura di Xavi – è pura masturbatio grillorum. Zero notizie di Lewandowski: e questa sì è una notizia. Gavi, Pedri e Raphinha si portano via il 72% di possesso, ma Ter Stegen para più di Onana, colpevole, fra l’altro, di un’uscita un po’ così sul gol di Pedri: il Var coglie una gelida manina di Ansu Fati, e tutti contenti.

Finché può, l’Inter aspetta e riparte. Poi aspetta e spera. De Vrij e Skriniar sigillano l’area, Calhu si sostituisce brillantemente a Brozovic, i dribbling e il palo di Dembelé creano problemi a Dimarco e a Fort Amala, ma il francese ha il brutto vizio di specchiarsi. San Siro ha avuto i leoni che voleva e gli dei che servivano. I catalani arrivavano dall’alto di una striscia sontuosa.
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