Pipita (quasi) d’oro

Roberto Beccantini4 ottobre 2022

La carriera è una somma di attimi. Gonzalo Higuain lo sa bene. Gliene sono mancati pochi, per essere un fuoriclasse. Ne ha sfruttati abbastanza per finire tra i ricordi dei grandi: o comunque, fra i grandi ricordi. Si era «ricoverato» nella clinica del campionato nordamericano, presso l’Inter di Mi-ami. Il 10 dicembre ne compirà 35. Ha deciso: lascia.

Francese per caso (nacque a Brest), argentino per scelta, bisnonno basco, mamma pittrice di origini palestinesi (la cui scomparsa molto lo toccò). Un piccolo mondo né antico né moderno, centravanti di mestiere, fra River Plate, Real Madrid (voluto da Capello & Baldini), Napoli, Juventus, Milan (toccata e fuga), ancora Juventus, Chelsea. E la seleccion, naturalmente. Gli almanacchi parlano di 333 gol in 707 partite, e di sei «scudetti» fra Madrid e Madama. Se vi sembran pochi, peggio per voi.

Di carrozzeria robusta, tanto che ci piaceva scrivere «dalla gavetta alla pancetta», il Pipita è stato un «nove» vero, con tendenze al «dieci» di ricamo, dal momento che la scuola rioplatense, quella che sfornò «La maquina», ha sempre coltivato il gesto e sopportato l’atto, mai viceversa. Di tecnica raffinata e acrobatica, destro o sinistro, il fiuto come bussola e il tiro, secco, come lampo, il meglio di sé lo ha dato con Sarri a Napoli, quando arrivò a segnare 36 gol in una stagione. Servito, diventava implacabile. Servizievole, non trovava sempre la forza di ribellarsi al destino.

Ha giocato con Messi (in Nazionale) e con Cristiano Ronaldo, e se non è mai riuscito a strapparci l’enfasi che avremmo pagato per dedicargli, servili come siamo, si deve all’emotività del carattere. Scrivevo di attimi, all’inizio. Ce ne sono alcuni che collegano la cronaca alla storia. A Gonzalo successe il 13 luglio 2014, al Maracanà di Rio. Finale mondiale, Argentina-Germania
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Pronto soccorso

Roberto Beccantini2 ottobre 2022

Il Bologna non fa tremare più nessuno, e con Sinisa era pure meglio, ma non pensavo che i «senza allenatore» ne disponessero così agevolmente. Tre a zero. «Sochmel», dicono dalle mie parti. Kostic su tocco di Vlahovic. Vlahovic, di testa, su cross di McKennie. Milik, di sassata, su palla vagante di Bonucci. Non solo. Madama ha pure cercato il poker, mangiandoselo (con Vlahovic) e sfiorandalo (con Milik, palo).

Una volta, quando la Juventus passava in vantaggio, i tifosi esultavano. Adesso si mettono le mani nei capelli. Perché sanno che, dietro l’angolo, può sempre affiorare un primo tempo come a Marassi o un secondo come a Firenze. E’ andata, questa volta. E dal momento che c’era aria di rivolta, i vuoti erano tanti e la sbronza di Monza pesava come un’onta, beh, absit iniuria verbis. Stiamo vivendo uno strano periodo storico, l’Atalanta segna come la Juventus (12 gol), ma ne becca di meno (3 a 5) e gode dei corti musi – 1-0 a Verona, 1-0 alla Roma, 1-0 alla Viola – che l’hanno spinta in testa, addirittura, sotto braccio allo straripante Napoli. Non è più la Dea che ti stecchiva per la sindrome di Stendhal, Gasp l’ha rivoltata (per forza) e resa più scaltra (per scelta).

Il verdetto dello Stadium ha permesso il sorpasso sull’Inter, ma è ancora presto per dire se abbia spazzato le nuvole che ne zavorrano il cielo. I recuperi di Rabiot e Locatelli, la panchina di Paredes, l’ennesimo centrocampo da formare – e informare – i ritorni di Szczesny e Bonucci. Nulla di trascendentale, in vista di Maccabi e Milan, ma un 4-4-2 «scemplice», una coppia d’attacco che ha segnato e lavorato, Bremer implacabile su Arnautovic e, in generale, più spirito, più gamba, più ordine. E le prime due pere in contropiede, a proposito di calcio vintage.

Certo, Dybala non c’è più e Di Maria non ancora: per questo, fantasia zero. Però la vita va avanti. Coraggio. E, chi vuole, Allegri

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E Mou fu

Roberto Beccantini1 ottobre 2022

Dopo le soste, la ripresa è spesso piena di buche, di chiodi, di dossi che le mappe degli esperti (bum) non sempre segnalano. Occhio, dunque.

Napoli-Toro 3-1. Incipit sontuoso degli spallettiani, gran movimiento e zuccatona di Anguissa su cross di Mario Rui, un portoghese che di rado fa l’imbucato. Da lì in poi, «vieni avanti, Torino», per i gol in contropiede di Anguissa (da Politano) e Kvaratskhelia (da Zielinski), con la difesa granata stesa come una dondolante amaca sulla linea di metà campo. Neanche Zeman: o forse sì, solo lui. La rete di Sanabria lasciava spiragli che non spaventavano Meret, Kim e «Robot-ka». Nel Napoli, impressiona la facilità con cui vanno a segno i centrocampisti. Per Juric, terza sconfitta di fila e rosso «placcato».

Inter-Roma 1-2. Quarto k.o. per Inzaghino, terzo in rimonta (post derby e Udine). Mourinho, squalificato, se la gode chissà dove. La mossa è Abraham fuori e Dybala falso nueve: sarà proprio l’Omarino a pareggiare il destro di Dimarco, con un Handanovic che ci mette le mani e non i pugni. All’ora di gioco, fuori la Joya, spremuto, e dentro l’inglese. Sembra gradire, l’Inter: gli stopperoni hanno riferimenti finalmente meno vaghi, Calhanoglu colpisce una traversa; Lau-Toro, sin lì un’ombra, si sveglia, Barella o manda al diavolo qualcuno o spedisce in porta qualcun altro (ci prova, almeno). Ti aspetti il raddoppio ed ecco, invece, il sorpasso: punizione di Pellegrini, zuccata di Smalling. Intorno, non uno Skriniar che dia l’allarme.

Nulla avviene mai per caso, anche se il calcio – a volte – lo è. Ho colto, nella Roma, i progressi di Spinazzola, lo stoicismo di Cristante e il cemento di Smalling. In attesa che Zaniolo torni (o diventi?) decisivo non solo nella corsa, ma anche nello sparo. Dybala: lasciatelo trotticchiare
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