Sol corrente

Roberto Beccantini23 novembre 2022

Diario mondiale, terza puntata. Dopo l’Argentina, la Germania (con la bocca tappata per protesta contro la fifa della Fifa): da 1-0 a 1-2. La storia, cari Pazienti, la storia. I giapponesi non sono forse quelli che, sordi agli ordini imperiali, continuarono a combattere la guerra, asserragliati nelle selve oscure delle loro isole, una guerra strapersa e strafinita? Ecco qua: sotto di un gol (rigore di Gundogan), in balia del palleggio di Musiala e di una superiorità mortificante, salvati dai tuffi di Gonda, graziati da tiratori stranamente generosi, hanno continuato a lottare, a giocare. Il loro comandante, Moriyasu, ha chiamato rinforzi e li ha azzeccati, Flick no. Togliere il migliore in campo, a meno che non sia lui a chiederlo o lo scarto a reggerne il peso, non è mai una grande idea: e Musiala lo era stato.

Fin qui, la storia. Da qui, la storia rovesciata. I luterani che, d’improvviso, fanno mercato di occasioni, cedono alle tentazioni della partita in pugno, lasciano praterie dietro a Kimmich e Gundogan, costringono Rudiger a rattoppi volanti e stremanti. Sino ai gol di Doan, su azione, e di Asano, su lancio lungo: che controllo in corsa, e che botta. Con la complicità, forse, dell’eroico Neuer. Non ci avevano abituato così.

La sentenza Bosman del 15 dicembre 1995 ha aperto l’Europa e poi il mondo a tutti, in una sorta di Erasmus calcistico che permette ai giapponesi, per esempio, di «studiare» in Germania. Che poi i procuratori, entrati pesciolini, ne siano usciti squali, è un’altra storia. Rimane il messaggio. Fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza. Basta applicarsi. E in un torneo corto come questo – nella fase a gironi, in particolare – molto può succedere. E’ successo. Con Messi, con Thomas Muller. «Avete tentato, avete fallito. Non importa.
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Il «tiè» nel deserto

Roberto Beccantini22 novembre 2022

Diario mondiale, seconda puntata. Che figura: do l’Argentina favorita e subito patatrac. Da 1-0 a 1-2 con l’Arabia Saudita (ed Esaudita, almeno nei desideri). Dieci minuti, e il rigorino di Messi sembrava già una sentenza, non solo un indizio. Col cavolo. In avvio di ripresa, la squadra di Scaloni ha rallentato e si è distratta. Pensava, forse, di avere il destino in tasca. Nel giro di cinque minuti, dal 48’ al 53’, ha così incassato i gol di Al Shehri e Al Dawsari (molto bello, questo). Richiamata dalla siesta, non è stata più capace di domare stupore e frenesia. Ha creato mischie, occasioni, ma nulla di clamorosamente letale.

Leo sbocconcellava i ricordi – che, beninteso, a noi bipedi normali sembreranno sempre fette di torta – il più vivace era Di Maria (a livello di 6, però). Non il Papu. Non de Paul. E meno che mai Paredes, vedetta che gridava vendetta. L’allenatore degli arabi è un francese, Hervé Renard (in italiano, volpe). Ha il pallino dell’organizzazione, del pressing «mediano» e dell’eclettismo tattico. Per un tempo, li ha mandati tutti al manicomio con un fuorigioco che pendeva addirittura dal cornicione della metà campo. Alla Zeman di Foggia. Avete presente Lau-Toro? Scomparso per frustrazione. Poi, ribaltato lo scarto, la Volpe è passata dalla trappola dell’off-side a un catenaccio fiero e randellante, al limite dell’area. Resistere, resistere, resistere. A Scaloni un solo appunto: la carenza di lettura. Possibile che ignorasse come gli avversari avrebbero cercato di disinnescare le sue mine?

Veniva, l’Argentina, da una striscia di 36 partite utili, fra le quali l’1-0 al Brasile che, nel 2021, le aveva garantito l’ultima Coppa America. Un flop omerico. Al debutto in Russia, quattro anni fa, aveva dovuto patteggiare con l’Islanda: 1-1.
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Hey Jude

Roberto Beccantini21 novembre 2022

Diario mondiale, prima puntata. Introdotto dal rotondo 2-0 dell’Ecuador al Qatar, doppietta di Valencia, piano piano si entra nel vivo.

** Inghilterra-Iran 6-2. Gli iraniani non hanno cantato l’inno. Gli inglesi si sono inginocchiati. Ma niente fascia arcobaleno. «Sconsigliata»: Infantino infantile. Poi la partita. A senso unico. E non solo perché Queiroz ha perso subito il portiere. Troppo forte, l’England del re e non più della regina. I gol: Bellingham, Saka, Sterling, ancora Saka, Taremi, Rashford, Grealish, Taremi di penalty. Su tutto e su tutti, Jude Bellingham, classe 2003, pulizia e geometria («Hey Jude», cantavano i Beatles: non per lui ma fa lo stesso). A secco, Harry Kane. Il vecchio leone ha controllato la caccia dei cuccioli, proteggendone le giovani fauci. La curiosità: 27 minuti di recupero tra infortuni e cambi. Però.

** Senegal-Olanda 0-2. Equilibrio diffuso, fra squadre alla ricerca di una scintilla che accendesse il gioco. O almeno, gli episodi. Togliete Mané a qualunque tecnico e poi riparliamone. Alla fine, ha vinto Van Gaal. «Alla fine» in tutti i sensi, visto il minuto delle reti: 84’ Gakpo, 99’ Klassen. Pendono, sull’esito, i riflessi lenti di Mendy. Inoltre: Koulibaly di mestiere, Dumfries e De Ligt non sempre a proprio agio, De Jong un po’ stranito.

** Stati Uniti-Galles 1-1. Un tempo a testa. Il primo, tutto americano. Esterno destro di Timothy Weah, figlio di, splendidamente smarcato da Pulisic. Il secondo, quasi tutto dei Dragoni. Page, il ct, azzecca la mossa: dentro Moore, una torre. Berhalter, viceversa, si addormenta sul cuscino del vantaggio. E’ una fotta sesquipedale di Zimmerman a offrire a Bale il rigore dell’onesto pari. Ho cercato Ramsey senza trovarlo. Ho trovato McKennie senza cercarlo: alla periferia, mezzo acciaccato. Un classico. Usa e getta.