La colpa è mia che vedo troppo calcio inglese. E così peso tutto, tutti, sulla bilancia della Premier. Non dovrei. Non siamo più così ricchi. E comunque, Juventus-Venezia: una decina di minuti da Manchester City (pressing forsennato, traversa di Pellegrini, gol di Bonucci su punizione di Miretti e sponda di De Ligt), e poi, piano piano, il ritorno alle penniche d’antan. Vero, degli ultimi bisogna sempre diffidare, perché saranno i primi, e ultima la Serenissima era, ma vivaddio, si giocava allo Stadium, c’era popolo, faceva caldo e allora vi chiedo: chi sembrava l’ultima? Deduco che non fosse proprio possibile azzeccare un dribbling (Morata), un passaggio (Bernardeschi), un tiro (Vlahovic).
In questi casi si mette tutto sul conto del mister. Allegri, lui, aveva sganciato Fabio Miretti, 18 anni. Centrocampista di suola educata, si è ritrovato in una tonnara che gli avversari, dal trombone di Ampadu al violino di Aramu, hanno conteso fino a governarla. Di solito, è la squadra che adotta il giovane, non il cucciolo che fa da mamma al branco. Coraggio, Miretti.
Il Venezia aveva cambiato skipper: Soncin al posto dell’ex titolare, Zanetti. Crnigoj e c. praticavano un calcio semplice (uhm), ordinato, e la stazza di Henry seminava brividi nell’orto di Szczesny. La partita rotolava verso un epilogo facile da pronosticare: il pareggio, strameritato, del Venezia. Con un gran sinistro di Aramu. Più complicato immaginare che da un corner, battuto da Miretti, ancora Bonucci, in mischia, avrebbe fatto fesso un portiere già abbastanza pollo. Doppietta per i 35 anni: wow.
Entrato con la gioia con cui si va dal dentista, Dyabala passeggiava. Non solo: la staffetta Vlahovic-Chiellini riassumeva lo spirito dell’allegrismo. Non c’è nulla di scandaloso arrivare, per due volte, quarti. Si potesse solo giocare un po’ meglio. Per carità , solo un pochino.