Metà Toro, tanta Inter. E Berardi

Roberto Beccantini20 agosto 2022

La «partita» era Torino-Lazio. Finisce 0-0, senza una trama che scomodi l’epica. Nel recupero palla e sino al limite dell’area, il Toro è una piccola Atalanta. Dopo, non più. Non a caso, Juric è stato, al Genoa, devoto sacrestano del Gasp. Per un’ora, il pressing granata non dà respiro agli avversari. Marca a uomo, il Toro, ma non come una volta, attorno al battitore libero: come si usa adesso, graffiando e mordendo ogni zolla, ogni polpaccio. E sempre in avanti, possibilmente.

E’ in attacco che il livello cala, un po’ perché Radonjic ha la mira storta, Vlasic è appena arrivato e Sanabria trova in Romagnoli e Patric carabinieri inflessibili. Compatta ma contratta, la Lazio di Sarri fatica a venirne fuori. Milinkovic-Savic, a differenza del fratello portiere, uno dei migliori, sarà uno dei peggiori. E se non segna Immobile, chi segna? Saranno proprio del capitano e del serbo, a Toro non più padrone, le (rare) occasioni. A Luis Alberto «C’era Guevara» ha riservato pochi spiccioli: contento lui.

A San Siro, l’Inter spazza via un fragile Spezia: 3-0. Lau-Toro, di controbalzo, su cross di Barella e sponda aerea di Lukaku; Calhanoglu di bisturi; e, a giochi fatti, Correa su assist di Dzeko. Le parate di Dragowski, la traversa di Lukaku e gli errori sotto porta hanno evitato che lo scarto assumesse dimensioni bibliche. Non era l’Inter dormigliona di Lecce, come ha documentato la spinta feroce di Dumfries e Dimarco. Certo, lo Spezia avrà tirato sì e no una volta. Troppa differenza: ma non solo millantata.

Se l’azione dell’1-0 interista è stata bella, bellissimo è stato il gol di Berardi in Sassuolo-Lecce 1-0. Uno smash mancino che, al di là della traiettoria e della posizione, mi ha ricordato lo Zizou di Glasgow. Destro ben piantato a terra e bum.

Di Maria oltre

Roberto Beccantini15 agosto 2022

Hanno vinto tutte, le grandi. Chi alla grande, chi più o meno. Un segnale al terzo stato. Stava palleggiando come nel giardino di casa, il Sassuolo, e lo Stadium cominciava a fischiettare, quando l’arbitro ha ordinato il cooling break. Narra la leggenda che il 3-0 sia nato lì, dalle dritte di Allegri. Subito il gol di Di Maria, con un sinistro strozzato; poi il rigore di Vlahovic, somma di due indizi (al pronti via, Muldur e Alex Sandro, quindi Ferrari e il serbo, incastratissimi). La squadra di Dionisi ha continuato il torello, ma ormai Di Maria – protagonista, infortunato y fatal – aveva svegliato Madama e se l’era presa. Siamo sempre lì: il tenore che dirige l’orchestra e non, come insegnava l’Arrigo, il contrario.

Giocava «libero d’attacco», il Fideo. Palla incollata, anche ciondolanti. Con McKennie mezzala, Alex Sandro pimpante (per un po’) e Cuadrado in versione parlamentare sotto elezioni (destra, sinistra, centro). Vlahovic invocava munizioni; gliele fornivano Di Maria e Danilo, le falliva di poco. Il Sassuolo si era reso pericoloso, nello scorcio pre time-out, con Defrel, Berardi (poca roba) e Ayhan. La Juventus viveva di campanili e contropiede: attenta, anche se non proprio ispirata. Era Di Maria, a 34 anni, la scintilla.

Alla ripresa, entrava il promesso sposo (Raspadori-Napoli), ma uno sgorbio di Ayhan propiziava l’assist dell’argentino per il destro di Vlahovic. Era il 51’: «mamma, butta la pasta», avrebbe strillato Dan. Ricapitolando: Di Maria, gol e assist; Vlahovic, doppietta. E, a ruota, un Bremer all’altezza e un Kostic che il loggione vorrebbe più ala che terzino. Piano piano, il Sassuolo si addormentava nel suo sterile tiki-taka, salvo un guizzo di Pinamonti sventato da Perin. Leggerino, bellino, spuntatino.

La scorsa stagione era finita 1-2. Buttarsi sul corpo della partita per scoprire
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Stelle correnti (abbastanza)

Roberto Beccantini15 agosto 2022

Mi incuriosiva la «prima» della Roma a quattro stelle. Pellegrini-Dybala-Zaniolo-Abraham. Ha vinto 1-0 a Salerno e, come spesso succede quando la propaganda guarda la luna, ha segnato il «dito» che di solito la indica e la sostiene: Cristante, una vita da mediano (e, temo, da fachiro). Diciamolo: non era una trasferta impossibile. Scritto ciò, è stata una vittoria tranquilla, solcata da molti sprechi e pochi rischi.

Mourinho ci crede. Palla al piede, la Roma può e deve sognare. Palla agli altri, dovrà meritarselo. I guerrieri di Nicola hanno dato tutto, un tutto limitato agli scrosci di Bonazzoli. Da qui, una sofferenza relativa. Con Mancini, Smalling e Ibanez padroni dell’area e dell’aria. Aperta parentesi: occhio a Spinazzola. Se ne parla poco, dal momento che altri hanno diritto alla precedenza, ma un eventuale ritorno ai picchi «europei» costituirebbe una carta in più: e non certo un due di picche.

E adesso, i quattro. Abraham di punta, a fornire profondità e sponde. Dybala a ronzargli attorno, un po’ indietro e un po’ avanti a seconda dell’appetito, delle sieste o delle esigenze. Esattamente come nella Juventus di Allegri. Morale, per ora: un palo e un quasi-gol. Il migliore, Zaniolo. Corse e ricorse, scatti e riscatti, un paio di occasioni ciccate, ma la sensazione che il motore sia tornato la dinamite pre-crociati. Capitan Pellegrini, infine: di raccordo o d’imbucata, mezzala per tutte le stagioni e le soluzioni.

Il pericolo è che, aggredita, la squadra si spacchi: e che un arsenale più guarnito della Salernitana ne approfitti. Matic e Wijnaldum sono entrati nella ripresa. Per evitare che i Cristante crollino sul traguardo, alla Dorando Pietri, serve che le stelle non stiano a guardare. Allegri, quello «vero», sposò Pjanic, Cuadrado, Higuain, Dybala, Mandzukic. E proprio male non gli andò.