I cambi, i cambi… E subito il Var

Roberto Beccantini13 agosto 2022

Scrivere di calcio dopo la prima giornata è come parlare di Marilyn Monroe quando ancora si chiamava Norma Jeane. Ad agosto, poi, sono tutti attaccanti, il razionamento verrà per gradi. Milan-Udinese 4-2 è la sintesi di difese allegre e di un tasso tecnico che non poteva non orientare il verdetto. Subito Becao di testa, poi rigorino, molto «ino», su Calabria, concesso dal Var e trasformato da Theo, quindi Rebic e Masina, di cabeza, specialità della casa. Nella ripresa, Brahim Diaz di rapina e bis del croato dal cuore dell’area dopo omeriche fotte dei friulani.

Pioli ha ripreso da dove aveva brindato. Folate e volate, con Bennacer in cattedra. Leao e Deulofeu si nascondono nei sommari: possono permetterselo, proprio loro, i titoli dell’ultima stagione. In assenza di Ibra e Giroud, riecco Rebic: da due reti in 24 presenze a 2 in 71′. Da Cioffi a Sottil, l’Udinese resta una squadra guerriera, letale in campo aperto. Urgono i gol di Beto e coperture meno avventurose.

Partita aspra, a Lecce. Il gol-lampo di Lukaku non è adrenalina, è oppio. L’Inter si addormenta, pasticcia, Gosens «stoppa» Dimarco, Barella gira in folle, come se tutto fosse già finito. E invece deve ancora cominciare. Strefezza e Di Francesco rianimano la matricola, il cui «celodurismo» irrita e limita Lautoro. Ceesay pareggia. Ci crede, il popolo. Ma Inzaghi ha i cambi, e così la sfanga al 95’, con Dumfries, dopo che Falcone era schizzato di qua e di là (ma pure Handanovic, in un paio di occasioni), sull’ultimo corner, all’ultimissima bolgia. Per la storia, e per la cronaca, sono entrati – oltre l’olandese – Mkhitaryan, Bastoni, Dzeko e Correa. Però. Evviva il risultato, non certo il «giuoco», sento sbraitare. A Coverciano, forse. Solo lì.

Var decisivo anche a Marassi: sullo 0-0, la spintarella di Leris
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Avanti, popoli

Roberto Beccantini12 agosto 2022

Rieccoci. Era il 22 maggio: scudetto al Milan. Sarà un campionato strano, fratturato, con il Mondiale di mezzo e il mercato che chiude il 1° settembre, dopo quattro turni. Con l’arbitro donna, più Var o meno Var (boh) a sfogliare i giornali e caccia grossa ai rigorini, a sentire Rocchi. Tornano gli spareggi (per il titolo, per la salvezza). Resta il calendario asimmetrico. Gli allenatori incideranno, i giocatori decideranno. Una volta sì che le griglie avevano un senso. Questa ne ha molto meno, provvisoria e prigioniera com’è. Fate finta che sia una piccola orma su sabbie mobili (più che nobili). I conti li tireremo a fine mese

1. Inter. Mica fesso, Lukaku: è qui la festa. E poi Asllani vice Brozovic. Skriniar è il Piave. Un solo problema, per Inzaghino: la giostra dei portieri.

2. Milan. La forza nel «progetto», il pericolo nella pancia piena. Ma Ibra veglierà su Pioli, De Ketelaere e dintorni.

3. Roma. Esplode o implode. Matic, Dybala, Wijnaldum, più i fab four, più (a giorni) Belotti. E poi lui: Mou, il grande timoniere.

4. Juventus. In balia di degenti (Pogba, Chiesa) e artisti impazienti (Di Maria), con la regia per aria e Allegri al bivio: scosse, più che mosse.

5. Napoli. Da Koulibaly a Kim, stagione di confine. E occhio a Kvaraeccetera: anche quando arrivò Kakà, ci facemmo due risate.

6. Lazio. Il mercato sotto dettatura di «C’era Guevara». Fermo restando Immobile, urge più equilibrio fra attacco e difesa.

7. Fiorentina. Parlano di Italiano come di un «terrorista» degli schemi. Sarà. La sfida si chiama Jovic. Se nuovo Vlahovic o no.

8. Atalanta. «Non è la squadra che volevo». L’ha detto il Gasp. Uhm. C’erano una volta il Papu e Ilicic. Un cantiere, la Dea.

9. Sassuolo. Ormai un marchio. Via Scamacca e (pare) Raspadori, ecco Pinamonti. Più Berardi «dieci». Artigianato palleggiante.


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Ciao, portiere in gamba

Roberto Beccantini12 agosto 2022

Claudio Garella non era un portiere qualunque. Vinse due scudetti, il primo con il Verona e il secondo con il Napoli (di Diego Armando), e già questo è un dettaglio selettivo, significativo. Era nato a Torino, aveva 67 anni, l’ha tradito il cuore. E’ morto dimenticato, lui che negli Ottanta prese a calci il ruolo, non solo in senso metaforico.

Grande e grosso, sbocciato fra gli ultimi spiccioli di Zoff e l’epifania del Sacchismo, che considerava il portiere un intruso, diventò «Garellik» perché non apparteneva a nessuna scuola, o meglio: dal momento che gli avevano fatto una testa così con il fine che giustifica i mezzi, privilegiò la ragion di squadra all’estetica. A quei tempi, i suoi tempi, i piedi – per un portiere – erano necessari, non obbligatori. Cominciò a usarli come alternativa alle prese ortodosse, fedele a una vecchia massima cinese: «non importa di che colore sia il gatto, purché acchiappi i topi».

E allora: vai di gamba, sulla linea di porta ma anche più avanti, se all’orizzonte appariva, d’improvviso, un barbaro invasore. Tanto che, si mormora, l’idea di punire il fallo da ultimo uomo cominciò a serpeggiare anche per «merito» di quelle uscite alla kamikaze, un po’ alla Ghezzi e un po’ alla Rocco («Colpite tutto quel che si muove a pelo d’erba. Se è il pallone, meglio».

L’avvocato Agnelli lo definì «il miglior portiere senza mani». Una cosa così. E dopo uno 0-0 a Napoli, nella stagione magica dell’Hellas, le troppe coccole che Ameri gli aveva dedicato fecero sobbalzare l’Osvaldo: «Guardi che abbiamo attaccato anche noi».

Non ha anticipato Neuer, non ha anticipato né mode né modi. Le spanciate non ne hanno rigato la letteratura da pane e salame che, pur senza Nazionale, l’ha scortato e illustrato. Non era un fenomeno, non spingeva per farsi strada: respingeva. Malinconia canaglia.