Tu me fais tourner la tête

Roberto Beccantini6 aprile 2022

Triplete al Paris Saint-Qatar, triplete al Chelsea. Karim Benzema aggiunge vita agli anni e non anni alla vita (34, per la cronaca). Ha rimontato ed eliminato Pochettino. Ha messo in serio imbarazzo Tuchel. «Tu me fais tourner la tête», cantava Edith Piaf. Era l’andata dei quarti di Champions, grande partita a Stamford Bridge: Chelsea-Real 1-3. E due soli ammoniti, uno per parte.

Benzema, dunque. Di testa e di forza il primo, su cross di Vinicius in capo a un’azione disegnata da Picasso. Di testa e di biliardo il secondo, su parabola di Modric, un architetto che sembra Piano anche quando va piano. Di rapina il terzo, su regalo del portiere, Mendy, e concorso di Rudiger. Avete presente la gaffe di Donnarumma al Bernabeu? Moltiplicatela per tre.

Ho tracciato i confini. Dentro, un’ordalia salgariana con Christensen quasi terzino su Vinicius (non proprio il massimo), Valverde al posto di Asensio (bella idea, invece) e Casemiro perno del centrocampo: hic manebimus optime. La facevano i blu, la partita, anche perché Ancelotti, nato Sacchi e maritato Capello, ha capito che «il mondo non si è fermato mai un momento» (Jimmy Fontana).

Non trascuro i portieri: Courtois, paratona su Azpilicueta; Mendy, topica in avvio di ripresa, dopo che la zuccata di Havertz, su spioventino di un grigio Jorginho, aveva riaperto i giochi. Le correzioni di Tuchel non hanno sabotato la trama, l’hanno appena rigata.

Per alcuni, il centravanti è lo spazio; per altri, i padroni o i maestri di Benzema, lo spazio è il centravanti. Il Karim odierno è una cassa di esplosivo. Cristiano lo sovrastava, certo, ma molto gli ha insegnato. E questi sono i frutti. Letale al punto da permettersi di ciccare il gol più facile. Difficile trovare un
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La sparo grossa

Roberto Beccantini5 aprile 2022

Vi chiedo scusa, ma la sparo grossa: Champions o non Champions, Juventus-Inter mi ha divertito, City-Atletico mi ha annoiato. Allo Stadium, sparatorie, «Imagine» e fermo immagini, rigori dati, ridati e sfiorati. Insomma: più casino. A Manchester, una barba che non vi dico. Naturalmente, c’è un motivo. Il catenaccione del Cholo. Per carità, il Pep è il Pep e quindi mi guardo bene dal dirgli che forse Foden poteva metterlo prima, e sottolineo forse, ma il ragazzo ha cambiato la partita. L’assist a De Bruyne per il gol, un De Bruyne fin lì più vagone che locomotiva, e finalmente, per Brio!, quei dribbling che non avevo avuto nemmeno da Mahrez.

Al Wanda, Simeone dovrà togliersi almeno uno dei cinque cappotti infilatisi all’Etihad. Ammesso che basti. Parate di Oblak: una. Di Ederson, zero. A proposito: l’ho marcato stretto, Ederson, per via dei lanci lunghi. Mi avevano riportato cose che voi umani… Pur essendosi giocato, esclusivamente o quasi, ai limiti dell’area spagnola, mi spiace dirlo ma è incorso in una penalità. Era il 78’: gliene è scappato uno. In compenso, ai patiti della lavagna consiglio la velocità supersonica di certi recuperi-palla dei «Blue Moon». La rapidità e il rapporto cacciatori-lepre, almeno 4 a 1. Immagino le damigiane di orgasmi nelle alcove di Fusignano.

A Lisbona – dove nacque la leggenda del «quinto Beatles»: George Best – il Liverpool ha portato a spasso il Benfica. Uno a tre. Konaté, Mané, Nunez e quel Luis Diaz che più lo guardo più mi eccita. Come una tangenziale senza gatto sino all’errore di Konaté che ha propiziato la piccola turbolenza del gol, dopodiché un ritorno alle vecchie, care, ricette di casa Klopp: su le maniche, contro-pressing e guai a voi anime prave.

Domenica, in Premier, Manchester City-Liverpool. Alle cinque (e mezza) della sera, ora di corride e toreri. Sull’attenti.

Ma allora si può?

Roberto Beccantini3 aprile 2022

Ma allora si può giocare in un certo modo? Non ricordo un derby così dominato da Allegri eppure 1-0 per l’Inter. I risultatisti saranno furibondi. Ha deciso un episodio agli sgoccioli del primo tempo, un rigorino di Morata su Dumfries «fratello» del pestoncino di Dumfries ad Alex Sandro, all’andata. Un capitolo degno della saga: il Var lo suggerisce a Irrati, Szczesny lo para a Calhanaoglu, sulla respinta la palla carambola comunque in rete. Per me, tutto regolare. Per il Var, no: invasione di De Ligt, bis del turco e stavolta il polacco non si arrampica ai livelli di Hurkacz e della Swiatek.

Bollicine, dunque, ma non di champagne. Un’antologia di wrestling, di imboscate, di veleni. Juventus con il tridente, un valore o un prezzo a seconda di come lo supporti, padrona per una buona mezz’ora e per lunghi tratti della ripresa. Certo, Dybala gironzolante attorno a Brozo non era il massimo, ma anche lui deve darsi una mossa. Traversa-ginocchio di Chiellini, mischioni, presunzione di pericolosità in certi tiri (di Morata, di Vlahovic, di Cuadrado) e da certe situazioni, palo di Zakaria, lo stadio pieno e ringhiante, la caccia sistematica a un penalty risarcitorio (ah, De Ligt). Insomma: ha perso, la Juventus, come tante volte aveva vinto. Persino il pari le sarebbe stato stretto. La nemesi, la nemesi.

L’Inter? Veniva da sette punti in sette partite, non aveva alternative, si è raccolta attorno al rientrante Brozovic, a Skriniar, a un Barella meno vago. Con Handanovic ora muro ora meno. Locatelli, speronato al pronti-via da Lau-Toro, è stato ben surrogato dallo svizzero. Mi è piaciuto persino Rabiot. Se mai, è mancato Vlahovic, non proprio l’Attila che sa essere. Si chiude, così, la striscia di 11 vittorie e 5 pareggi. Resta, come era nei voti, il quarto posto. All’Inter è andata bene: anche per questo, Milan e Napoli permettendo, lo scudetto è sempre lì.