A scuola Guida

Roberto Beccantini13 marzo 2022

La novità è che, dopo Torino-Inter 1-1 e in attesa del recupero fra Bologna e Inter, il primo posto del Milan è effettivo, non più virtuale: Milan 63, Napoli 60, Inter 59. Sul pareggio dei campioni pesa il rigore che Guida non colse e Massa, al Var, non suggerì. Bremer, in mischia, aveva spaccato l’equilibrio già al 12’. Era il 27’, e la pedata di Ranocchia a Belotti sembrò penalty a tutti. A tutti, meno due: «quei» due.

Per un tempo, bel Toro: tosto, aggressivo, lucido. Come l’ha sempre sognato Juric. L’Europa logora, e delle ultime otto, in campionato, l’Inter ne ha vinte due. E’ in calo, chiunque schieri: e se non gioca Brozovic, ancora peggio. Poi, è chiaro, le occasioni le ha avute, e non sono state poche fra le quattro parate di Berisha e i due sgorbi aerei di Dzeko, risparmiato ad Anfield (meno male). Pure i granata, però: Gosens su Brekalo, Handanovic su Izzo, Pobega di testa.

Se affrontare l’Atalanta è come andare dal dentista, misurarsi con il Toro è patirne quel carattere e quella voglia che non sempre tira fuori: ma nel derby e con le grandi, sì. Mi sono piaciuti Berisha, Bremer, Brekalo, Pobega e il «generoso» Belotti. Ancora un po’ e, se non riesce ad arrestare la flessione, Inzaghino passerà per una pippa, lui che aveva portato l’Inter senza Lukaku e Hakimi a «giuocare meglio» dell’Inter di Conte. La salvezza gli è venuta dal casotto dei cambi – almeno uno: Sanchez, autore del pari al 93’ su assist di Dzeko – anche se Vecino vice Brozo non è stato il massimo della vita. La realtà è che, in rosa, non esiste un supplente: nemmeno Calhanoglu, se e quando arretra.

Lau-Toro veniva da quattro gol fra Salernitana e Liverpool: Berisha gliene ha tolto uno, e stop. Per il resto, attaccati alla canna del Var. Cairo, soprattutto.

L’auto-salone

Roberto Beccantini12 marzo 2022

L’autogol di Venuti in coppa, al Franchi; l’autorete di Yoshida a Marassi: entrambi su cross-canaglia di Cuadrado. Non si può dire che il fondo-schiena di Madama sia un francobollo. Poi, per un rigurgito di (quasi) par condicio, ecco le terga di Morata sulla punizione di Sabiri. E quindi, per ripristinare la differenza di censo, il harakiri di Falcone sulla sgrullata di Morata. Per me, tre «auto»: per i topi d’archivio, boh.

In mezzo, il tamponamento Colley-Kean, che aveva prodotto il rigore del raddoppio, trasformato da Morata (sic), e il penalty murato da Szczesny a Candreva, quando ancora la partita sembrava prigioniera di Arthur, il migliore, e del suo torello.

Meno tira, la Juventus, più segna: è un altro indizio. Allegri non ha più Cristiano Ronaldo dalla seconda, ha perso Chiesa già alla 21esima e avuto Vlahovic «solo» dalla 24esima: non sono scuse, sono dettagli. Giocano sempre gli stessi, soprattutto a centrocampo. E si vede (Rabiot, la mano e il resto). E comunque: 10 vittorie, 5 pareggi. La strisciolina si allunga.

Da D’Aversa a Giampaolo non mi sembra che la Sampdoria abbia svoltato. Coltiva piccole idee di gioco che la vena grigia di Candreva, Sensi e Quagliarella ha frustrato. Meglio con Sabiri e Giovinco (e non perché sono presidente dell’organizzazione noprofit «Giùlemaninedagiovinco»).

I prestazionisti sono pregati di esercitare il proprio dissenso, senza però esagerare. La staffetta fra Vlahovic riserva e Kean titolare ha funzionato, e se spesso i marinai tendono a ritirarsi in coperta, prima di smoccolare contro l’ammiraglio, li confesserei uno a uno: erano ordini o eravate voi, birbanti? Non sono mancate le ripartenze dalle quali, senza e con il serbo, una squadra più «adusa» (vi piace?) avrebbe raccolto un bouquet di fiori. C’è però il Villarreal alle porte. E poi mi dicono che Cierre ne ha fatti tre a Old Trafford. Scusate, devo andare.

Todo el mundo es Karim

Roberto Beccantini9 marzo 2022

Por qué il calcio è unico? Perché sa prendersi in giro e rovesciarti addosso la scienza dell’inscienza. Più pensi di aver capito e più capisci che la notte no, come cantava Arbore. Perché, a volte, perdi anche se hai un marziano, Mbappé, cioè Bolt più Ronaldo (a scelta), che segna all’andata e pure al ritorno. E così, dal doppio 1-0 per il Paris Saint-Qatar la storia precipita e affoga nel gorgo del 3-0 per il Real. E’ la Champions, bellezza.

Ve li do io i piedi invertiti, le marcature preventive, la vita bassa e la vita alta, l’elastico, le lavagne di Coverciano che fanno tanto stele d Rosetta. Todo el mundo es Karim (Benzema), triplete dal 61’ al 78’. Il celeberrimo quarto d’ora di popolarità che Andy Warhol non negava a nessuno. La gaffe di Donnarumma, sul gol del pari, ha rivoltato la trama. Come se, entrati per assistere a un film comico, d’improvviso ci trovassimo in mezzo a un western. Fin lì dominante, la squadra di Pochettino è letteralmente scomparsa. Tutti: zio Leo, il giovane Holden Verratti, l’acrobata Neymar. Tutti, meno uno: Bolt + Ronaldo.

Ancelotti, lui, sembrava schivo e schiavo dell’andazzo. Ha azzeccato i cambi (Rodrygo, Camavinga, Lucas Vazquez), ha avanzato Modric, ha chiesto al Bernabeu un segno del destino, fornitogli dal Gigio nazionale, e da lì non c’è stata più partita. Benzema (34 anni), Vinicius (21) e Modric (36) si sono impossessati dell’ordalia, non solo degli episodi, e agli avversari non hanno concesso che briciole manzoniane: «Stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, così percossa, attonita la terra al nunzio sta».

Dicono che per fare una rivolta basti un capo, ma per fare una rivoluzione serva un’idea. Ne prendano atto, a Parigi. Magari il Real crollerà nei quarti, ma intanto ha stappato un magnum di emozioni. E alcune bollicine sono arrivate fin qui, in Clinica.