Il setaiolo

Roberto Beccantini11 dicembre 2021

I muscoli di capitan Dybala sono così delicati e fragili che non sai più cosa pensare. Il setaiolo, questa volta, ha retto per una decina di minuti. La speranza è che Allegri abbia esagerato con i carichi o sbagliato a non riporlo subito nella teca dopo il Malmoe. C’è sempre Adani pronto. Venezia-Juventus non poteva certo cambiare il mondo. Non l’ha cambiato. Ci ha regalato il solito film. Juventus padroncina del campo, in avvio, con Locatelli e Bernardeschi (ebbene sì) a disegnare geometrie plausibili, Pellegrini a sfilare (benino) sulla fascia, Morata e Kaio Crusoe (o Robinson Jorge) a guardarsi attorno: pronti a tutto, anche a svirgolare, il brasilero, un golletto sotto misura.

Il Venezia di Zanetti ha fatto la sua partita, di barricate e di sortite. Ha concesso un pugno di angoli, il gol a Morata, gol da centravanti, su cross radente di Pellegrini, ha chiesto ad Aramu di svegliare Henry e Johnsen. Piano piano, Madama arretrava. Per calcolo, vi diranno a Pontedera. Per mentalità, replicheranno a Fusignano, bòia d’un mànnd lèder.

Il contropiede è arma preziosa, Cuadrado ne ha ciccato uno clamoroso, in chiusura di tempo. La lettura del match si è consegnata alla trama ruvida e noiosa di un giallo sul cui assassino (il pareggio) avreste giurato fin dalla prefazione.

E cioè: Juventus rinculante e «basculante» (non è mia). Mica per tanto. Per quel quarto d’ora che è bastato ad Aramu, altro uomo di sinistro, lui sì guizzante, a impallinare Szczesny. «Halma mater» si sbracciava. Era una Signora troppo fiacca e troppo grigia per non aggrapparsi a tutto, a tutti, persino al secondo giallo mancato ad Ampadu, addirittura a Soulé. Bernardeschi impegnava Romero, entrava Kean, usciva Kaio: un po’ di forcing, alticcio non meno del pressing della prima mezz’ora, e via nel traffico del pari-centro a inseguire Rabiot e Alex Sandro. Vivi o storti.

Quell’ultimo passo

Roberto Beccantini9 dicembre 2021

Sul campo, i titoli non riescono sempre come in tipografia. Immagino i cortei dei furbetti del risultatino. Atalanta-Villarreal 0-3, poi 2-3. Ma come, proprio la Dea? Proprio l’Ego di Bergamo? Sì, proprio loro. Succede. Un po’ meno in Italia, un po’ più in Europa, ma succede. L’Atalanta, per essere sé stessa, deve sempre essere «troppo». E’ così che Gasperini l’ha spinta oltre la cuccia della normalità. Marcare a uomo andando avanti, non indietro.

E allora? Il Villarreal, ecco, in Spagna se la passa male (è tredicesimo), ma ha vinto l’ultima Europa League. Unai Allegri (pardon, Emery) ha tolto spazio all’avversario, intasandolo ad arte. E poi il gol-lampo, cruciale. Foto-copia di quello di Mertens al Maradona: con Danjuma che sfugge a un equivoco Demiral-De Roon addirittura dalla sua metà campo. Robe da matti.

L’Atalanta doveva «solo» vincere. Il Villarreal poteva «anche» pareggiare. Zapata a parte, non uno che abbia cercato di ribellarsi alla camomilla del sottomarino giallo: né Ilicic, né Pessina, né Freuler. Latitava persino il «gegenpressing». Prova ne sia l’agio con cui gli spagnoli, di raffinato fraseggio, hanno cesellato il raddoppio di Capoue. Vi raccomando Gerard Moreno.

Alla ripresa, ancora Gerard Moreno e ancora Danjuma, con Toloi (e non un parente in visita) puntato alla schiena, come una pistola. Quando l’Atalanta ha alzato un po’ di polvere – gol di Malinovskyi e Zapata, traversa dell’ucraino e palo di Muriel – era tardi. Per un’ora era sembrata un’italiana qualunque. L’integralismo castrista del Gasp, la dottrina dei tre terzi posti in campionato, delle due finali di Coppa Italia, di un quarto e un ottavo di Champions, verrà destrutturato fino allo sberleffo. Europa League, adesso. E quell’ultimo passo che la fase difensiva (5 gol dal Manchester United e dal Villarreal, 3 dallo Young Boys) frena. Morire in piedi o vivere da seduti? Ognuno sceglie il suo destino.

Dalla Russia con…

Roberto Beccantini8 dicembre 2021

Dal momento che il calcio è metà scienza e metà inscienza, le natiche del prode Max ricevono dallo Zenit una palpatina che, sono sicuro, la Vecchia Signora non denuncerà (absit iniuria verbis): il 3-3 che blocca il Chelsea spalanca il primo posto del girone alla Juventus.

La partita dello Stadium, l’unica che ho visto, passerà alla storia, se mai vi passerà, per interposto risultato. L’1-0 al piccolo Malmoe, fresco dell’ennesimo scudetto, è figlio di un gol di Kean, che brucia, di testa, Diawara, su raffinato esterno sinistro di Bernardeschi. Il resto è un fritto misto di possesso e di occasioni che il portiere in alcuni casi agevola e in altri sventa.

Come Tuchel a San Pietroburgo, Allegri ricorre a un congruo turnover. Per un tempo, si morde alto, si punta, in fretta, al recupero della palla («gegenpressing»). Alla distanza, in compenso, la squadra si rilassa e arretra, ma gli svedesi non creeranno nemmeno un mezzo brivido.

Debuttava, da titolare, Koni De Winter, belga di 19 anni: schierato sulla fascia destra, fa il soldatino, fa il compitino. Le volte in cui si propone, con o oltre Bernardeschi, lo fa con la timidezza degli esaminandi. Torna spesso indietro. Saranno stati ordini? Sarà stato il pudore di sbagliare una consecutio? Al Bar sport l’ardua sentenza, anche se immagino di conoscerla.

E poi Arthur. Fra Rabiot (a destra, a sinistra, a volte in mezzo, a volte boh) e Bentancur. Il brasiliano è il solito album di tocchi laterali, con un tiro, uno solo, che sibila vicino al montante. Morata rileva Dybala e si pone al servizio di Kean. Se era nervoso, lo maschera bene: stop. Da segnalare, ancora, il ritorno di De Sciglio e gli spiccioli di gloria concessi a Da Graca e Miretti. Dopodiché, improvvisa, arrivò in tavola l’insalata russa.