Vinta due volte

Roberto Beccantini27 febbraio 2022

Il sinistro filante di Fabian Ruiz, al 94’, dopo il destro di Insigne e il mancino di Pedro. E così Lazio-Napoli 1-2. Ma soprattutto: Napoli e Milan 57, Inter 55 (e un Bologna in meno). Mancano undici turni (dodici ai campioni). Erano in tre, per lo scudetto, e tre restano. Sono un po’ stanche, non sono perfette (ma chi lo è?), Pioli è uscito dall’Europa già a dicembre, Spalletti da giovedì, Inzaghi è appeso ad Anfield. Le milanesi si misureranno in coppa, primo round martedì: e domenica sera, al Maradona, Napoli-Milan. Con Inter-Salernitana già di venerdì.

Il Napoli, invece, è libero. Impegni extra, zero. Veniva dai triboli di Cagliari e dalla lezione del Barça, Spalletti l’ha rianimato. Sarri, zavorrato dal Porto, ci è riuscito a metà. Bel primo tempo, con Milinkovic-Savic in cattedra, come lo sanno essere i «brasiliani» dell’ex Jugoslavia. Occasioni ed emozioni, tocchi e tacchi. Una Lazio al dente e un Napoli strano, molle, impreciso.

Alla ripresa, zitta zitta, la partita si è rovesciata. Il Napoli ha guadagnato terreno, gli avversari l’hanno perso. Spalletti ha tolto Zielinski e inserito Elmas. Una delle chiavi. Da quel momento, più munizioni a Osimhen e meno a Immobile. Doveva ancora segnare su azione, Insigne. Tutti da fuori area, i gol. Il suo, classico, sull’ennesima «distruzione» dal basso. A quel punto, sembrava fatta. Invece no. Il Napoli ha dovuto vincerla due volte. Il mancino di Pedro aveva coronato la reazione della Lazio, più di carattere che di lavagna.

Se la sventola di Pedro era un tuono, la traiettoria di Fabian Ruiz – sin lì, né carne né pesce – è stata un lampo. A uscire, di perfida angolazione. Un morso, non un graffio. Suo, dei suoi. Sarri segnava, alla fine, mentre Spalletti si segnava. La sintesi della notte. Favorita resta l’Inter, ma i pronostici sono tracce, non sentenze. Soprattutto i miei.

Serbo vostro

Roberto Beccantini26 febbraio 2022

Qual è la differenza fra Juventus-Empoli 0-1 ed Empoli-Juventus 2-3? Che discorsi: Dusan Vlahovic. Nel dettaglio: 7’, assist per Zakaria, murato da Vicario; 47’, gol di sinistro, dopo averne mandati due al bar, su recupero di Arthur e tocco di Cuadrado; 65’, contropiede di Morata, controllo di sinistro e lob di destro, al bacio; ultimi minuti, il corpo oltre gli ostacoli, i limiti, gli avversari, tutto , tutti. Magari con un altro allenatore ne segnerebbe quattro a partita, Allegri non può lamentarsi (e il serbo di Allegri? la butto lì…).

Il resto, senza offesa, mancia. Il solito «culetto» basso in fase di non possesso; le solite leggerezze in difesa, Szczesny compreso, punite dalla tigna di Zurkowski e La Mantia; il solito Andreazzoli propositivo e felice nei cambi, anche se l’ultima vittoria risale ormai a dicembre. Veniva da Vila-Real, Madama, e aveva fuori ben oltre mezza squadra (più Zakaria, scomparso in corso d’opera). Non era una trasferta facile. Questa volta, basta così. Tredicesimo risultato utile, otto vittorie e cinque pareggi. Guardare la vetta (a meno sette) lo trovo pretenzioso. Meglio concentrarsi sul quarto posto.

Mi riesce difficile parlare di calcio in questo clima di «Bellum et circenses», con l’Ucraina sotto assedio e l’Europa sotto sopra. Perdonatemi. L’ordalia del Castellani è stata divertente perché solcata da svarioni e ribaltoni, da un Bajrami calante e uno Zurkowski sempre al dente. Gli equilibri li ha spostati Vlahovic. Avrebbe vinto l’Empoli, a maglie invertite. Bella la cartuccia iniziale di Kean, di testa, su cross pettinato di Rabiot, un tipo strano: appena lo condanni, il destino si commuove. Arthur, lui, è un postino. E Locatelli è entrato con nerbo. Rimane il concetto base: chiusa l’era Cristiano (un ventello a stagione), è Vlahovic la trave che tiene su le pagliuzze che lo circondano.

Un lampo, poi le solite nuvole

Roberto Beccantini22 febbraio 2022

Nel pesare l’1-1 non si può e non si deve dimenticare che, con Allegri e Cristiano, la Juventus era uscita nei quarti con l’Ajax; con Sarri e Cristiano, negli ottavi con il Lione; con Pirlo e Cristiano, l’anno scorso, negli ottavi con il Porto. Certo, il lampo di Vlahovic – splendido: stop di petto e destro chirurgico (sì, destro!) su lancio di Danilo – avrebbe meritato un sostegno più efficace, più coraggioso, ma la Juventus è questa, questo il suo tecnico e questa la sua manodopera, da Cuadrado a De Sciglio.

Trentadue secondi: troppo presto. Favorito era, e rimane, il Villarreal. Ha strappato l’ultima Europa League al Manchester United, ha eliminato l’Atalanta: 2-2 in casa, 3-2 a Bergamo. Ripeto: a Bergamo. Occhio, dunque. Non è che non abbia attaccato, Madama, e non è che non abbia creato ingorghi pericolosi, ma in porta è tornata a tirare solo all’85’: con il serbo, e con chi se no? I ritmi, blandi, hanno lasciato i duellanti in partita, sempre e comunque. Ognuno con il proprio stile. Unai Emery, palleggiando per un tempo e poi giocando «al serpente», tutti nascosti, tutti pronti a mordere. Allegri, di contropiede, a folate.

Le assenze, d’accordo. Non poche. E Gerard Moreno sul fronte spagnolo. Difendeva a cinque, Madama, con Danilo-De Ligt-Alex Sandro nel cuore del bunker, Cuadrado e De Sciglio terzini, Locatelli, similregista, fra un generoso McKennie e un banale Rabiot. Dal Morata vagante, segnali di fumo y nada mas. Con Vlahovic guerriero solitario e, spesso, abbandonato. La Juventus ha rischiato grosso subito dopo il gol (palo scheggiato da Lo Celso, falso nueve di raffinato tocco, parata di Szczesny su tacco di Danjuma), ma poi sembrava a cassetta.
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