Le sartine del Sassuolo

Roberto Beccantini20 febbraio 2022

E adesso? Chi di voi corre a chiedere scusa ad Allegri, la cui Juventus – senza più Cristiano e senza ancora Vlahovic – si arrese, in casa, al Sassuolo «solo» al 95’ e per giunta su un contropiede (ripeto: su un contropiede)? Il Milan di Pioli cedette di schianto: 1-3 a San Siro. L’Inter vi ha perso 0-2: sempre al Meazza.

Battute a parte. Da Di Francesco a De Zerbi e a Dionisi, la premiata sartoria Sassuolo segue un filone preciso: la via del ricamo, del palleggio. La squadra è leggera, studia e si applica. Perde spesso, gioca sempre. D’accordo, Consigli ha parato tutto (ma qualcosa pure Handa). Sin dall’inizio, però, le «sartine» hanno preso in mano l’uncinetto e non hanno più smesso. Andasse come andasse. Penso a Traoré, dribbling e testa alta, a Maxime Lopez, a Berardi (un assist e una traversa), a Raspadori, dieci fluttuante e autore del primo gol, a Scamacca, che ha firmato il raddoppio. Ai terzini, a tutti. Al mister.

La Champions pesa: i campioni avevano nelle gambe il piombo del Liverpool. Piombo rovente. E comunque: fra Milan, Napoli e Sassuolo un punto in tre partite. Impatto molle, ritmi da intervallo di Manchester City-Tottenham, Lau-Toro non segna più, Alexis Sanchez, leone in gabbia, è diventato la gabbia. Troppo timido, Dimarco vice Bastoni. E Barella vice Brozovic ha sottratto fionda e sassi alla fascia destra, almeno per un tempo. Perisic aveva le polveri bagnate. Inzaghino è corso ai ripari, ma dai rinforzi ha avuto poco: Dzeko si è mangiato un paio di gol, Dumfries trovava nuvole talmente ingolfate che gli impedivano di volare. L’Inter non poteva non scuotersi. Agli avversari, in compenso, si offrivano praterie che avrebbero legittimato ben altra mira (ah, se Berardi fosse anche un po’ di «destro»).

Il Milan veniva dal pareggiaccio dell’Arechi, contro una Salernitana
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Serbo di Allegri

Roberto Beccantini18 febbraio 2022

Un derby brutto, senza le rime che lo solcavano in passato, gente che va gente che viene, come in un grand hotel crepato e affollato. L’1-1 premia l’orgoglio e la garra del Toro, che ha cercato di fare la partita, e l’ha fatta sino agli ultimi dieci minuti, quando la Juventus – disattendendo le direttive aziendali, mi verrebbe da dire – si è buttata sotto.

Bravo Juric. E Allegri? Non si pretende il circo, e nemmeno il «giuoco» come lo intendono nei salotti, ma non ci si può neppure accontentare di una simile brodaglia. D’accordo, le assenze: Chiesa, la coppia centrale Bonucci-Chiellini e persino Rugani. E così, Alex Sandro stopper con Pellegrini a sinistra. Immagino che l’emergenza difensiva abbia prosciugato le residue scorte di coraggio. Eppure, dopo due parate di Szczesny su Brekalo, la capocciata di De Ligt, su angolo di Cuadrado (un disastro), aveva spalancato ghiotti spiragli. Per carità. Passaggi indietro, titic-titoc, campanili da cartolina e il povero Vlahovic abbandonato ai tentacoli di Bremer, un gigante, tanto che il serbo, piano piano, è finito ai margini della partita prima di uscirne. Impari a marcare.

Il tridente, già. Dybala, un tiro e l’implacabile flessore, tanto da collezionare l’ennesimo abbandono, al 53’. Morata, zaini e bombole. Sbranati. E gli altri: Zakaria, al rientro, il minimo sindacale. Per venire al sodo: una Juventus imbarazzante, se si escludono il portiere e l’olandese.

Non che il Toro abbia tirato di più o meglio. Ma ci ha provato fin da subito, ha reagito al ceffone, ha pareggiato con Belotti, su cross di Brekalo, uno dei migliori con Bremer, ci ha messo il cuore. Sorpreso, immagino, degli scheletri che via via uscivano dall’armadio di Allegri. I risultatisti si attaccheranno al tram della strisciolina, 7 vittorie e 5 pari. Per me, un grave e greve passo indietro. E martedì, il Villarreal.

Se il coraggio non basta

Roberto Beccantini16 febbraio 2022

Il Liverpool è più forte, punto. All’Inter serviva un’impresa. L’ha cercata, traversa di Calhanoglu in avvio, turbolenze assortite anche se non letali e poi il coraggio, per una trentina di minuti nella ripresa, d’invadere il mar Rosso che però non si è aperto. D’improvviso, al 75’, l’incornata di Firmino su angolo di Robertson. Come un gancio alla mascella. Prova ne sia, 8’ più tardi, il raddoppio di Salah, con l’area intasata e, forse, uno stinco di Brozovic. E così, ad Anfield, ci vorrà un miracolo.

Hanno deciso i cambi di Klopp. I 18 anni di Elliott non avevano pagato, Fabinho era stato mangiato a metà campo, Diogo Jota e Mané erano rimbalzati contro le ante di Skriniar e Bastoni. Altra musica, con Henderson e Keita, Luis Diaz e Firmino. Piano piano, non subito.

Mancava, a Inzaghino, la birra di Barella. Vidal ci ha messo tutta la sua garra, ma le cicatrici pesano. De Vrij non ci vedeva bene, eppure è rimasto in campo sin (quasi) alla fine: ecco, non ho capito quel «quasi». Gli zero ammoniti raccontano di un’ordalia molto cavalleresca. A lungo in bilico, a tratti noiosa, solcata dalle volate di Perisic e Dumfries, dai lampi del turco. Rari i tiri, e ancor più rare le parate dei portieri, a conferma di un equilibrio garantito dai pacchetti difensivi (penso a van Dijk, a Konaté).

Bravo, il Liverpool, a sporcare il radar di Brozovic. Brava, l’Inter, a non chiudersi mai a chiave, nemmeno nelle fasi in cui il palleggio dei Reds – parlo del primo tempo – incuteva timore. Mi aspettavo di più, sotto porta, da Lau-Toro e Dzeko. Resta un dato: 4 sconfitte su 4 con il Real, e questo 0-2. Mai a rimorchio, spesso alla pari, sempre k.o. Con Conte e Inzaghi, con Lukaku e Dzeko. Non appena la Champions s’impenna, sono dolori. Non un’esclusiva, comunque.


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