Troppa Inter per i cerotti di Mou

Roberto Beccantini4 dicembre 2021

L’Inter, grande, scende all’Olimpico e domina una Roma decimata e rassegnata. Di Mourinho non affiora nulla, se non l’attesa dell’attesa, che mai sarà una buona idea. La orienta Calhanoglu: su angolo infingardo, complici Zaniolo, Cristante e Rui Patricio. E con un tocco, al culmine di una splendida azione, che smarca Dzeko, l’altro grande ex.

Mou, alla vigilia, non aveva parlato. Un segnale che molte Sibille avevano cercato di tradurre. Invano. Settimo tonfo, e la sensazione che, lontano dai Drogba e dagli Eto’o, sia dura per tutti: anche per i profeti. Non ha rinunziato al 5-3-2, ha adattato troppe pedine, ha lasciato Zaniolo in balìa di troppo campo, di troppi compiti. Brera si sarebbe commosso, per come ha difeso la sconfitta. A Fusignano no: avrebbe dovuto osare.

Non c’è partita, il turco è uno dei confini tra la nuova e la vecchia Inter. Conte aveva Eriksen, che però da trequartista non quagliava nel 3-5-2 di base. Finì titolare, il danese, al fianco di Brozovic, in una sorta di doppio play. Calha ha più libertà, lascia al croato la regia e lo affianca nei momenti di emergenza, oggettivamente rari. Faccia pure quello che vuole, se lo fa così.

Simone non ordina l’indietro tutti. Anzi. Uno dei più propositivi è Bastoni. Uno stopper. Il suo sinistro, non nuovo a certe traiettorie, stimola la zuccata volante e possente di Dumfries che, un attimo prima, aveva salvato su Vina. E tre.

In tribuna il ritorno di Totti agita la malinconia canaglia di un popolo sfinito ma infinito. Attorno al marziano-Mou di Ennio Flaiano, in compenso, non c’è più la folla dell’atterraggio a Villa Borghese: le mamme, i pargoli, le nonne, i pensionati. C’è chi comincia a chiedersi, dandosi di gomito: embé, tutto qui?

Alla ripresa, l’ingresso di Bove (2002) al posto di Kumbulla è un segnale di fumo. Parcere subiectis: non succede più nulla.

Un Sassuolino nella scarpa

Roberto Beccantini1 dicembre 2021

Ma che campionato. Si gioca ogni tre giorni e, così, il fiele e il miele si mescolano, si confondono, si rovesciano. Tranne per l’Inter, 2-0 allo Spezia, terzo successo di fila. Gagliardini in bellezza e rigore di Lau-Toro, per mani-comio, dentro una partita subito azzannata e sempre dominata. Il Milan veniva da un doppio k.o. (3-4 a Firenze, 1-3 con il Sassuolo). Lo aspettava al varco il Genoa del «vecchio» Sheva. Problemi, zero. O meglio, uno: l’infortunio-lampo di Kjaer. Auguri di cuore. La punizione di Ibra sgonfia il Grifo, Messias bum-bum liquida la pratica: 3-0 e via andare. Proprio lui, l’ex fattorino già decisivo al Wanda, contro l’Atletico. Per Sheva due sconfitte, un pareggio e nessuna rete all’attivo. Era proprio il caso?

La sorpresa arriva da Reggio, ed è una sorpresona: non tanto per il risultato (2-2), quanto per la trama. Napoli in carrozza, 2-0, Fabian Ruiz (che mezzala, che sinistro), dopo pisolo di Ferrari, rubata di Mertens e tocco di Zielinski. Poi Mertens, di destro e di forza, su ennesima imbeccata del polacco.

Spalletti perde Insigne, Fabian Ruiz e, sul 2-1, persino Koulibaly, fin lì un muro. Dionisi ha raccolto il testimone di De Zerbi, pratica lo stesso calcio serpentesco, di palleggio e di agguati. Kyriakopulos è cambio prezioso. Suo il cross per il gran gol di Scamacca: stop di petto, giravolta e lecca da centravanti vero. Il Napoli barcolla, Lobotka non domina più in mezzo, i fantasmi di Anguissa e Osimhen si allungano sui nervi.

Il pareggio, agli sgoccioli, lo firma Ferrari, di testa. E senza «santo» Var che sfila il 3-2 di Defrel per una pedatina di Berardi (a Rrahmani) che Pezzuto non aveva colto o non aveva giudicato letale, saremmo qui a parlare di un ribaltone a suo modo clamoroso.

E comunque: una vittoria, una sola, fra Verona, Inter, Lazio e Sassuolo.
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Le fiammelle gialle

Roberto Beccantini30 novembre 2021

Dalla Guardia di Finanza alle guardie di Allegri, hai voglia. Con la giustizia e i giustizieri all’opera, la «fattura» del gioco non poteva non risentirne. Decimata la Salernitana, incerottata la Juventus. Lo stadio Arechi ricorda Andrea Fortunato, che da queste parti nacque e a Torino avrebbe preso il volo se il destino non ne avesse storpiato il cognome. Noi scribi «riuscimmo» comunque a dargli del lavativo, complimenti.

La partita. L’aria è da fine impero, la squadra di Colantuono è ultima, lascia il cuore del ring a Locatelli, a Bentancur, a Cuadrado che svaria, come Bernardeschi, come Kulusevski. Il ritmo è lento, non rock: vi contribuisce il catenaccione di Gagliolo e c. Passa, la Juventus, con un bel gol di Dybala, su tocco di Kulu: e Chiellini avrebbe pure raddoppiato, in mischia, se il Var non avesse colto un fuorigioco «capezzolare» di Kean. Resta la punizione di Cuadrado, sul palo: però.

Possesso palla all’intervallo: Salernitana 20%, Juventus 80%. Immagino gli orgasmi dei «tikitakisti». Il problema è il risultato, pericolosamente in bilico. Nonostante tutto. «Halma mater» invita a non distrarsi, a cercare il fraseggio. La stagione è stata ricca di trappole insidiose, di riscosse ambigue, di cadute grossolane. E’ la Juventus, o almeno dovrebbe: una squadra che, per blasone, non può dirsi distratta dal bordello in cui le plusvalenze e dintorni hanno trasformato il convento che fu. Facile, a parole.

La Salernitana di mister Trust (traduzione inglese di signor Lotito) aspetta al varco. E’ impossibile che l’ex tiranna non commetta almeno una fotta. E difatti: palo interno di Ranieri.

Il mio regno per un centravanti. Morata avvicenda un grigio Kean e raddoppia su assist di Bernardeschi. Poi si procura un rigore che Dybala, il migliorino, sbatte in curva. Scivolando. Una metafora dell’indotto.