San mercato

Roberto Beccantini6 febbraio 2022

Troppa grazia, san mercato. Era il battesimo di Vlahovic e Zakaria, hanno segnato entrambi. Il serbo, con un lob mancino di pura oreficeria, su assist di Dybala (e uscita un po’ così di Montipò). Lo svizzero, di destro, su tocco di Morata. San mercato, san tridente. E così: Juventus due Verona zero.

Il gol di Vlahovic, un cannibale, ha spaccato l’equilibrio. Il rasoio di Zakaria, uno sherpa, ha scacciato i fantasmi. Stava attaccando il Verona, un Verona spuntato, senza Caprari e il Cholito, rare notizie di Szczesny, solo cross smanacciati, ma insomma: premesso che nessuno al mondo può pensare d’impossessarsi dell’intera torta per 90’, le fette concesse sembravano fin troppo generose. E Tudor è uno che allena.

Dopo il raddoppio, gioco-partita-incontro. Per un tempo, mi è tornato in mente «lui». Tirava solo Dusan: persino di destro (uhm). E’ un progetto di grande cannoniere. Un trascinatore. Uno che si sbatte, dà profondità, dialoga. E il resto? Mi è piaciuto Morata versione «spalla», e abbastanza Dybala, versione tuttocampista. Non sono mancati gli errori di misura, né la tendenza a rinculare, ma Allegri ha una lama, adesso, e non solo una corazza. D’ora in poi dovrà rifinire la manovra e renderla più geometrica, più coraggiosa. Importante è far paura. E, nello stesso tempo, non crogiolarsi nell’incenso. L’Atalanta ha una gara in meno e il sorpasso resta una traccia, non certo una sentenza: in vista, soprattutto, del faccia a faccia di domenica.

Il tridente è sopportabilissimo, a patto che si corra e non si lascino praterie fra pressing alto e trincee basse. Sette vittorie e tre pareggi sono una buona base. E, sul piano tattico, meno punti di riferimento si danno, meglio è. Ma per far questo, ricordarsi di Fascetti: deve essere organizzato anche il «casino».

Giroud, il diavolo tentatore

Roberto Beccantini5 febbraio 2022

Succede quando sei più forte e pensi che l’avversario, solo per questo, si arrenderà. Succede quando non chiudi la partita e il peggiore diventa il migliore. Così l’Inter, che dominava, ha perso. Così il Milan, allo sbando, ha vinto. Calcio, sport del Diavolo. Come no. Per mezz’ora, la squadra di Inzaghi aveva bombardato gli avversari: grandi parate di Maignan, l’1-0 di Perisic, non meno devastante, a sinistra, di Dumfries a destra. Il Milan? Una sventola di Tonali, murata da Handanovic e un brivido subito dopo in mischia. Per il resto, una sfilata mogia di titic e titoc.

Alla vigilia avevo scritto: 2-1 per l’Inter. Sembrava uno scarto tirchio, addirittura moscio. Sono stati i cambi a sabotare l’ordalia. Inzaghi ha smantellato il centrocampo, da Brozovic a Calhanoglu e Perisic, il più frizzante: fuori, immagino, per problemi fisici. Pioli, viceversa, ha avuto da Brahim Diaz le bollicine che, fin lì, non aveva ricevuto da Kessié, trequartista troppo vago, troppo opaco.

E poi Olivier Giroud, 35 anni. Non l’aveva mai vista. Skriniar, De Vrij e Bastoni se lo erano mangiati, letteralmente. Gli sono bastati tre minuti, dal 75’ al 78’, per rovesciare San Siro. Gol di bisturi, su tocco di Brahim Diaz, dopo aver avviato l’azione con una spallatona alla Mandzukic. Raddoppio da centravanti in fiore, complice il braccio lesso di Handa. C’est la vie, avrà pensato. Era un Milan incerottato, piccolo e gracile, e lui un orco in disarmo. Ma il sangue blu non è sangue qualsiasi, una nuvola d’ira può trasformare l’acqua in champagne.

E’ stato un derby al dente, fisico, nervoso con Theo «rosso» al 95’. L’Inter aveva perso solo con la Lazio, all’Olimpico. Ha 53 punti e un Bologna in meno, ma il Milan la incalza adesso a 52 e il Napoli, in attesa di Venezia, a 49. Il calendario martella, e il segnale dei senzaIbra non è stato un brusio: è stato un urlo. E sabato, al Maradona, Napoli-Inter. Fuoco alle polveri.

In zona Cesarini

Roberto Beccantini31 gennaio 2022

Al gentile Robertson, che in piena terapia anti mercato si è ricordato della strampalata vicenda tra Carlo Ancelotti e la burocrazia dell’Uefa, dedico un gustoso aneddoto di Renato Cesarini. L’ho preso pari pari da un bel libro scritto da Eraldo Pecci, «Ci piaceva giocare a pallone». Pagina 239. Dunque:

«Quando [Renato] Cesarini sostenne l’esame da allenatore parlava con una conoscenza della materia e una proprietà di linguaggio tali che gli esaminatori gli chiesero se avesse scritto qualche libro sul calcio. «No» rispose, «ma se mi date i vostri ve li correggo volentieri».