Figuriamoci/2

Roberto Beccantini24 ottobre 2021


Un derby d’Italia sordo e grigio, da zero a zero, issato faticosamente sull’uno pari da due episodi: al 17’, il tap-in di Dzeko dopo un palo della «ditta» Calhanoglu-Locatelli e con Madama in dieci per colpa di un cambio tardivo (Bernardeschi-Bentancur); all’89’, il rigorino di Dumfries, gran pollo, su Alex Sandro, sfuggito a Mariani, beccato dal Var e trasformato da Dybala. Uno dei tanti che non darei mai, tipo Hysaj su Barella.

In mezzo, niente di che. Polvere, e quasi mai da sparo. Squadre vecchie di spirito, nel primo tempo meglio l’Inter: più cazzuta (Barella, Darmian, Perisic, le sponde di Dzeko) e Juventus a rimorchio, spesso prigioniera di sé stessa, viva solo grazie alle titubanze di Handanovic (al pronti-via, su tiro di Morata). Con Kulusevski che, per escludere Brozovic, aveva escluso Chiesa. Mah.

Nel secondo, un po’ più di Juventus, e un’Inter quasi sazia, o forse stanca, copia filosofica della Juventus anti Chelsea. Non poteva non cambiare qualcosa, qualcuno, Allegri. Difatti: dentro Chiesa, dentro Dybala. E, agli sgoccioli, persino Kaio Jorge. L’Inter non arrivava più da Szczesny, la Juventus provava a farsi coraggio, una zuccata di Morata, un paio di cross tesi, nuvole di mischie, con il taccuino che mendicava emozioni. E così le due partitissime di San Siro e dell’Olimpico hanno partorito, su azione, la miseria di un gol. L’Inter aveva il risultato in pugno. Inzaghino, poi espulso, è della scuola di Max. Non cerca il brivido, punta dritto alla bacheca. E a volte esagera, come stavolta. Fermo restando che poi, alla fine, è sempre il tabellino a orientare gli umori. E la moviola.

Se l’Inter non può buttare simili opportunità, la Juventus deve crescere: 13 gol in 9 partite sono una media da centro classifica. Ecco perché Dybala diventa, volenti o nolenti, l’ago della bilancia.
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La fabbrica e Cristiano

Roberto Beccantini20 ottobre 2021

Un altro 1-0, il quarto consecutivo, e proprio a San Pietroburgo, la città dalla quale l’incrociatore Aurora sparò i colpi di cannone che sconvolsero l’alba del Novecento: e non solo l’alba. Gol di Kulusevski, di testa, su cross di De Sciglio, da sinistra, smarcato da Bonucci, da destra. La celeberrima ampiezza. Vedi alla voce Kean versus Roma.

Chi di catenaccio ferisce… Ha giocato, lo Zenit di Semak come, di solito, gioca la Juventus di Allegri contro le grandi: rannicchiato, con due tralicci – uno dietro (Lovren), uno davanti (Dzyuba) – e uno stormo di brasiliani a presidiare le grondaie. Il 4-3-3 di Madama, ammesso che tale fosse: non ci giurerei, chiedeva a McKennie sortite improvvise, a Morata e Chiesa di stare un po’ vicini e un po’ no. Le fasce, ecco, avrebbero potuto allargare i guardiani del tempio, ma i ritmi erano lessi e di passaggi filtranti o di dribbling, in quel gran marasma, manco l’ombra. Neppure da parte di Church. Prendetela per una battuta (ma non lo è): ho pensato ai coriandoli di Dybala.

Messaggio ambiguo, gli errori di Bonucci, di Bentancur, di Alex Sandro. Non si può dire che la Juventus non abbia attaccato. Al tiro, però, non liberava nessuno: non che fosse facile, per carità, ma il divario tecnico avrebbe dovuto accendere almeno qualche falò. E così, come può capitare, le uniche parate le faceva Szczesny, su lecca di Claudinho e zuccata di Chystiakov.

Palle-gol? Due, una di McKennie, sventata dal portiere, su filtrante di Morata; e una di Cuadrado, in spaccata, su tocco di Arthur. Ecco qua la chiave: i cambi. Cuadrado, Arthur (decisamente), Kulusevski. Lo Zenit, che già aveva creato problemi al Chelsea (e a Londra, per giunta), stava prendendo campo, Allegri doveva aver notato gambe stanche e teste logore. Il gioco, uhm. Bruttarello. Ma il possesso palla, sì, tenetevi forte:
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Inter ancora dentro, Milan quasi fuori

Roberto Beccantini19 ottobre 2021

Inter ancora dentro, Milan quasi fuori. Sono indizi che piacerebbero ad Agatha Christie. Il calcio, già: metà riffa e metà scienza, con i pronostici n perenne conflitto. Nel dettaglio: 3-1 dell’Inter allo Sheriff che aveva sbancato 2-1 il Bernabeu; 5-0 del Real allo Shakhtar che aveva bloccato l’Inter sullo 0-0. Eppure siamo in Champions: o proprio perché lo siamo?

Al Meazza c’è partita perché l’Inter, sotto porta, non è proprio il Buffalo Bill dei circhi belli, e finché Celeadnic para e gli «sceriffi» riescono a liberare i «cavalli» di Bruno. Dal bouquet della notte estraggo Dzeko (un gol, un assist), De Vrij (il gol, ma non solo), Perisic (un palo, una traversa), Brozovic e Barella. Di Vidal, in compenso, rete a parte, ricordo poco.

Il pareggio di Thill, gran punizione, al di là della distanza e (forse) dei riflessi di Handanovic, è stato ribaltato subito. E questo è un merito. A voler cercare le pagliuzze, prima che diventino travi, quando attacca, l’Inter, lo fa in massa, e agli avversari si spalancano, così, praterie golose. O si aumenta la media realizzativa o si rischia. San Siro ha gradito, comunque. Si chiedeva, ai campioni, di reagire dopo le storie tese dell’Olimpico: buon segno, i recuperi difensivi di Dzeko e Lau-Toro.

Tre sconfitte su tre, l’Europa del Milan è appesa a un filo. A Liverpool, gli andò bene; con l’Atletico, malissimo. Troppo poco, e troppe assenze, per andare oltre lo 0-1 del Porto e il contatto Taremi-Bennacer un attimo prima del gol di Luis Diaz. I portoghesi avrebbero meritato ben altro scarto, aggressivi fin dallo sparo dello starter. Il problema rimane la mira, spesso malinconica come il «fado» della loro terra.

Le riserve hanno dato poco a Pioli. Ma anche Leao. E pure Ibra. Un signore, il tecnico: colpa nostra, abbasso le assenze e gli episodi. E’ così che si cresce.