Figuriamoci

Roberto Beccantini17 ottobre 2021

Figuriamoci. Nemmeno un rigore (alla Roma) passerà in giudicato. Per tre motivi: 1) Orsato fischia un attimo prima che Abraham segni; 2) subito dopo il placcaggio di Szczesny, Mkytarian tocca la palla con una mano; 3) Szczesny, il tanto vituperato Szczesny, lo para a Veretout. Resta, così, l’1-0 sancito dal condominio di zucche Kean-Bentancur su cross di De Sciglio, uno dei migliori: ebbene sì.

Che partita è stata. Se vi dico che il gol, Kean, l’ha segnato al 16’, dopo modiche baruffe, lo capirete al volo. Il classico film che manda in brodo di giuggiole Allegri e al manicomio Adani. Pullman davanti al polacco e attorno ai professori di Harvard, Bonucci & Chiellini. Non poteva non attaccare, la Roma di Mourinho, un altro che sta all’occupazione militare del territorio come un erbivoro all’asado. Ci ha provato, ma solo in un paio di casi – alla ripresa, con Vina, murato da Chiello, e Cristante, «parato» da Bonucci – ha sfiorato il gol.

Una di quelle trame che in Premier fanno pensare all’Italia di Churchill, il Paese che fa le guerre come se fossero partite di calcio e gioca a calcio come se fosse una guerra. Il 3-5-2 di Max cercava l’ampiezza: l’ho sentita, non l’ho capita. Chiesa, un po’ centravanti e un po’ bo’, ha lavorato in grigio, Bentancur e Locatelli si sono sbattuti come sherpa. Catenaccio e contropiede, soprattutto nella ripresa. E dal momento che il calcio è matto, proprio in avvio di ripresa Kean, su rovesciata di Bernardeschi (ripeto: su rovesciata di Bernardeschi), si mangiava il raddoppio.

Con lo United, Mou vinse una sfida allo Stadium sfruttando la lotteria degli ultimi 10’. Questa volta, che con la Roma avrebbe meritato almeno il pari, ha perso. Dico la verità: mi aspettavo di più da Abraham (sotto porta) e da Pellegrini. Dopodiché, uno a zero come al Chelsea e nel derby. Corto muso versus possesso palla: che noia.

«Fair West» e zero alibi

Roberto Beccantini16 ottobre 2021

Storie tese, perché? Dimarco era a terra, d’accordo. Ma la palla l’aveva Lau-Toro, e mica l’ha buttata: via verso la porta e shot, parato da Reina. Se fosse stato gol, sarebbe stato gol. Palla alla Lazio. Che non si ferma. Come non si era fermata l’Inter. Botta di Immobile, respinta di Handanovic, tap-in di Felipe Anderson. Sorpasso e far west. Con il povero Felipe al centro del ring, per non aver fatto quello che non avevano fatto gli avversari. Poi il 3-1 di Milinkovic-Savic, poi la rissa finale, tutti angioletti meno uno (Luiz Felipe, rosso).

E comunque, gran bella partita. La stava controllando, se non dominando, proprio l’Inter. Faticava, la Lazio, a reggere il tridente di Sarri: Felipe, Pedro e Immobile tornavano poco, e così si creavano praterie. Dimarco, Brozovic e Barella i più corsari, i più efficaci. Non Dzeko, e neppure, quando entrerà, Correa.

Il risultato lo avevano scandito due rigorini dell’epoca post-moderna, contatto Hysaj-Barella (dal dischetto, Perisic), mani-comio di Bastoni (pronto, Ciro). La pedalata dei campioni sembrava più rotonda, il mordi e fuggi delle Aquile legato ai momenti, più che a un’idea di fondo. La squalifica di Acerbi era cicatrice non lieve. La Lazio ha avuto il merito di soffrire. L’Inter, il torto di non raddoppiare. Non parlo di palle-gol: parlo di occasioni, di cadenze, di palleggio. I secondi tempi erano il suo paradiso: non stavolta. L’ingresso di Luis Alberto era cerotto prezioso; l’innesto di Martinez, pure. Così, almeno, sembrava. Fino all’attimo del 2-1. L’Inter implodeva, vizio antico. In questi casi, il regolamento è chiaro: tocca all’arbitro fermare il gioco, e l’obbligo scatta solo di fronte a contatti particolarmente violenti. Dopodiché, si entra nella terra di mezzo del fair play. Prego? Lasciamo perdere. Meglio, molto meglio, l’ovazione della Nord a Inzaghi.

Blu solista, azzurro squadra

Roberto Beccantini10 ottobre 2021

Tenori due, orchestra uno. E così la Francia alza ‘sta benedetta Nations League che poco peserà ma molto mi ha divertito. Per un’ora, San Siro sotto anestesia. Le sartine rosse di Luis Enrique a cucire il possesso palla, le forbici blu di Deschamps, molto italianiste, sempre indecise dove tagliare. Poi, d’improvviso, in sala operatoria tutti folli: il paziente, il chirurgo, gli infermieri, i parenti appena sopra. Dal 64’ in avanti: traversa di Theo, gol di Oyarzabal su lancio di Busquets e leggerezza di Upamecano. Due minuti, e parabola-capolavoro di Benzema, sei anni lontano dall’équipe. Azioni di qua e azioni di là, fino al sorpasso di Mbappé su tocco di Theo e virgola di Garçia. A suggello, doppia paratona di Lloris: su Oyarzabal e Yeremi Pino.

Cosa aggiungere? Pogba, Benzema e Busquets fuori catalogo. Immensi. Poi Oyarzabal. Per un’ora abbondante Mbappé aveva sgommato al largo. In crescendo, Theo Hernandez. Una menzione speciale per Gavi (classe 2004) e Yeremi Pino (2002). L’ordalia ha fotografato l’anima dei duellanti: la Spagna, il solito inno al collettivo, ha pagato – questa volta, almeno – la penuria di attaccanti (nostalgia di Morata e Gerard Moreno); la Francia rimane una cricca di solisti che, spesso, hanno bisogno di sonori ceffoni per rialzarsi dalla propria superbia. Da 0-2 a 3-2 con il Belgio, da 0-1 a 2-1 con la Spagna. Questi i fatti. E non mi sembrano banali.

***

Le finaline eccitano i topi d’archivio, che così possono decorare le classifiche come alberi di Natale, e meno, molto meno, i protagonisti. L’Italia ci ha creduto più del Belgio, senza Lukaku ed Eden Hazard, con De Bruyne in panca fino a ripresa inoltrata. Mancini chiude terzo, dunque, «bronzo» che, dopo il titolo europeo e il k.o. spagnolo, non cambia nulla. Due a uno, lo stesso score di luglio a Monaco di Baviera. Gran gol di Barella, rigorino procurato da Chiesa e trasformato da Berardi. Gli azzurri, più torta; i rossi, le fette più gustose
Leggi tutto l’articolo…