Poco «rigore», ma non solo

Roberto Beccantini5 settembre 2021

Non si perde da 36 partite (record mondiale), ma non si vince da 4. Tre 1-1 con Spagna, Inghilterra e Bulgaria, lo 0-0 di Basilea. Rigori a parte fino a un certo punto. Jorginho lo aveva già sbagliato a Wembley, questa volta l’ha letteralmente «passato» a Sommer, l’hombre de la noche, sì, ma non per questo: se mai, per aver crivellato Berardi in una sfida da western, sceriffo contro bandito, e per aver disarmato Insigne.

Si complica, leggermente, la marcia verso il Mondiale: non ancora, comunque, da allarme rosso. Il problema è il titolo: non vorrei che dall’11 luglio in poi si pesasse tutto sul lordo della corona trascurando il netto dei valori. Che Mancini ha, indubbiamente, migliorato. Sono mancati Bonucci nelle rifiniture, Jorginho in mezzo (ebbene sì, capita) e davanti Insigne, Immobile, sempre testa o croce, Berardi. Il ct lo aveva preferito a Chiesa pensando, immagino, alla notte romana del 3-0. A metà campo, ho apprezzato i filtranti di Locatelli (che non avrei tolto). Dalla panchina, Chiesa e Zaniolo compresi, non sono giunte le munizioni auspicate.

Passata da Petkovic a Yakin, la Svizzera si è guadagnata la pagnotta con il sistema che, proprio nel suo ventre, covò un austriaco, Rappan: difesa serrata e contropiede. Tutti guerrieri, dietro Sommer: Akanji, Zakaria, Elvedi. Tutti, tranne Rodriguez, sicario del penalty. Le mancavano fior di titolari: Xhaka, Shaqiri, Embolo, Freuler. E questo dettaglio, per noi, è un’aggravante.

D’accordo, settembre di rado ci sorride. Buon primo tempo, secondo calante, pressing non sempre calibrato e, a tratti, reparti così lunghi da esaltare la garra di Chiellini e stuzzicare la lena degli avversari. Di Donnarumma, in due gare, non ricordo che una parata: su Zakaria. Il rigore avrebbe, probabilmente, cambiato tonnellate di aggettivi. E’ la storia millenaria del calcio: a patto di non fermarsi solo agli episodi.

Bollicine contro il muro

Roberto Beccantini2 settembre 2021

Uno a uno. Come con la Spagna, come con gli inglesi. Il terzo consecutivo. Era la prima da campioni, 53 giorni dopo Wembley. A Firenze, avanti popolo. Non credo alla pancia piena, almeno per ora, e nemmeno ai serbatoi mezzo vuoti, per quanto lo fossero. E, sempre per ora, non penso neppure a un Mondiale in pericolo: domenica a Basilea, la Svizzera. Servirà di più, certo. Soprattutto a ridosso dell’area: e possibilmente dentro. I topi d’archivio sbandierano, giulivi, il 79% di possesso palla e i dieci corner a zero. Un’aggravante, replicano, isterici, i cultori del risultato purché respiri.

Ha ripreso, la Nazionale di Mancini, dal gioco che aveva seminato: per la cronaca, e per la storia, sono 35 partite utili consecutive, eguagliato il record di Spagna e Brasile. I bulgari si sono difesi a catenaccio e, bucati dal gran gol di Chiesa, hanno pareggiato con un lampo, uno solo: Despodov che si scrolla Florenzi, confuso, e A. Iliev che brucia Acerbi.

E allora? Abbiamo palleggiato fitto, con Jorginho e Verratti (specialmente), abbiamo creato abbastanza ma non troppo, splendido un controllo di Insigne, in corsa, su lancio di Bonucci (così così); sugli scudi, si scriveva una volta, il portiere Georgiev. Il ct ha ruotato Chiesa (a destra, come si permette?), Immobile, Insigne, poi Raspadori e Berardi. Sempre avanti, sempre sul pezzo, senza però la mira e la «cattiveria» che spesso, nelle bolge, fanno la differenza. Un dribbling in più, un flitrante in più: non era facile, anche se qualcosa di meglio mi sarei aspettato.

Frizzanti e distratti per un tempo, poi leziosi, quindi noiosi. Emerson Palmieri non è Spinazzola, Immobile non era l’Immobile dei nostri poligoni, Barella friggeva, nervoso, e l’ingresso di Lorenzo Pellegrini al 90’ non l’ho proprio capito: era la mezzala più ispirata di questo scorcio. Alla fine ci hanno fatto prigionieri. Tutti indietro: mai fidarsi delle «maggioranze» bulgare.

La prima volta

Roberto Beccantini1 settembre 2021

C’è sempre una prima volta. Mai avevo cambiato la griglia. Lo so, è un po’ vigliacco. Me lo suggerisce la fuga di Cristiano. Vero: la Juventus aveva perso lo scudetto anche con lui – e proprio la scorsa stagione – ma due su tre erano e rimangono una media che legittima i favori del pronostico. Con le attenuanti generiche concesse alla (o per la) «gavetta zero» di Pirlo. Meriti dell’Inter a parte. Meriti enormi.

Senza Cierre, la rosa della Juventus è più debole. Sempre forte, non la più forte. Allegri è un gran gestore, ma non so fino a che punto saprà essere scintilla. Nelle staffette, è cruciale l’ordine: da Sacchi a Capello, un trionfo; da Conte ad Allegri, idem. Siamo appena alla seconda, ma Conte-Inzaghi non mi sembra male. C’è poi la staffetta al contrario: Allegri-Sarri. Prima, cioè, la legna che ravviva il fuoco, poi il fiammifero. Per accenderne un altro. Peccato quel taglio brusco che cassò la svolta. Fra parentesi, con «C’era Guevara», Cierre toccò il suo massimo italiano (31 gol in 33 partite) e non impedì a Dybala di laurearsi miglior giocatore del torneo (2019-2020).

Colgo, dentro la Juventus, una confusione strana, di gruppo sparso, di frettolosi bivacchi. Da Marotta-Paratici a Arrivamaluccio-Cherubini. Con Nedved ancora qua, ma non proprio alla Vasco. Fra Elkann e Agnelli la Superlega persa ha lasciato il rumore degli sconfitti, che è peggio del rumore dei nemici.

Non ci sono soldi, e allora non mi scandalizzo per il mercato da 5. Locatelli mi piace, anche se farne il capro «salvatorio» mi sembra pericoloso. Resta il nodo del centrocampo, si apre un vuoto di una trentina di gol non più da fissare, ma da distribuire. Ci vorrebbe il Dybala che Allegri portò a 22 reti, il Dybala di Sarri o di Udine: non quello con l’Empoli. Penso a Bernardeschi:
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