Carramba che rigori, avrebbe cantato Raffaella. L’Italia si gioca domenica l’Europa al termine di una semifinale di sofferenza inaudita, con la Spagna sempre o quasi sul pulpito. Ma il calcio non è il basket, nel calcio il possesso palla è indicativo, non risolutivo. Il nostro merito è stato di rimanere sempre dentro la partita, con i denti, con una difesa che, sarà stata l’aria di Wembley, in alcuni tratti rimandava ai catenacci del Novecento. Il gol di Chiesa, il gol di Morata, il rigore che Donnarumma, voto 8, ha parato allo stesso Morata, il bisturi di Jorginho dopo che Unai Simon aveva disarmato Locatelli, ma non Belotti, non Bonucci e neppure Bernardeschi: serviva un vincitore, il destino l’ha scovato fra i vicoli di quello che non sapremo mai come chiamare, se poligono o lotteria.
Per un tempo, la Spagna ci ha nascosto la palla. Luis Enrique aveva rinunziato a Morata, largo a Oyarzabal, con Olmo falso nueve e Ferran Torres a sinistra, nella zona presidiata da Di Lorenzo (7). Pedri (7,5), Busquets (7) e Koke (6), le gite di Olmo ci rubavano il tempo, lo spazio, tutto. Altro che bella addormentata nel bosco: Spagna sul pezzo, come se la scatola nera fornisse le stesse rotte delle antiche traversate.
Si mangiava un gol Oyarzabal, smarcato da Pedri (e da chi, se no?), Donnarumma salvava su Olmo, migliore per distacco (ma non per dischetto): 8. E l’Italia? Per paradosso, ma non troppo, Bonucci (6) e Chiellini (6) pativano l’assenza di un centravanti d’area, costretti com’erano a tenere d’occhio gli infiltrati di turno. Chiesa, si sa, ha bisogno di campo, e Jordi Alba (6,5) non glielo concedeva. Nella terra di mezzo, si ballava: Barella (5), Jorginho (7, pensando alla riffa finale e fatale) e Verratti (5) erano sistematicamente anticipati o disorientati.
Le uniche brecce le trovava, a sinistra, Emerson (6), il vice Spina. Un’ipotesi di
Leggi tutto l’articolo…