Più veloce, più feroce: il Chelsea di Tuchel lascia al Real di Zizou quel torello orizzontale che sta al calcio moderno, ormai, come un salottino a una piazza in rivolta e si prende tutto il resto, la partita, il risultato, la finale di Champions. Uno a uno a Madrid – e già , all’inizio, un quarto d’ora da sballo – due a zero a Stamford Bridge. Complimentissimi.
Gli esperti ci spiegheranno perché il Paris Saint-Qatar ha segato questo tedesco che lo aveva portato alla «bella» con il Bayern, persa – anche – per le parate di Neuer. Io non ci arrivo. La partita, adesso. Avete presente una gara di cento metri? Ecco: uno sprinter puro, il Chelsea, si è trovato di fianco un ottocentista, il Real di Modric, Kroos e compagnia bella. Kanté, Mount, Werner e poi, nella ripesa, Pulisic se li sono letteralmente mangiati.
Se escludiamo due grandi parate di Mendy su Benzema, non ricordo altro, nell’area british. Viceversa, Courtois e Valverde hanno evitato gol sicuri: e non pochi. Tuchel ha lasciato che fosse il Real a sentirsi padrone. L’ha lavorato di contropiede, soprattutto nel loft di Militao e al centro. Si è sbloccato Werner, ho colto in Havertz (classe 1999) tracce di un possibile Eldorado, ho apprezzato il repertorio di Mount, del ‘99 pure lui, autore del raddoppio. E fra i grandi vecchi della difesa, meglio Thiago Silva, 36 anni, di Sergio Ramos, 35.
Zidane avrebbe avuto bisogno del miglior Hazard, non di questo, dal dribbling ancora ingessato. Poteva segnare chiunque, nel Chelsea. Solo Benzema, nel Real. E già questo è un confine non lieve. Il 29 maggio a Istanbul, dunque, Manchester City-Chelsea. E’ il secondo derby inglese nel giro di due anni, dopo Liverpool-Tottenhm 2-0 del 2019. Te la do io, la Superlega: firmato, Superpremier.
Dirigeva Orsato. Testimone, non protagonista. Meno male.