Una cosa di sinistro

Roberto Beccantini7 aprile 2021

C’è tutta la stagione della Juventus, in questo spareggio strappato al Napoli prima con autorità e poi con affanno, tanto affanno. La fame che, d’improvviso, torna a illuminare le pupille; le scelte di Pirlo, più razionali (per esempio, Danilo e Cuadrado a destra); il solito Cristiano che disfa (dopo nemmeno 2’) e poi fa (su azionissima di Chiesa); il catenaccione della ripresa. E un gol di Dybala, quello del raddoppio, di sinistro pennellato. Covid, infortuni, contratto, cene eleganti: non giocava dal 10 gennaio. Entrato dalla panchina, scatenerà fior di «letterine»: caro destino, dammelo fin da settembre e poi ne riparliamo.

Cristiano, l’Omarino e, agli sgoccioli, il rigore di Insigne, che ormai sta a Juventus-Napoli come una rondine alla primavera. Chiellini su Osimhen, c’era. Non mi è dispiaciuta, la partita, di buona lena e con frequenti ribaltoni, Madama subito in pressing, i Gattusiani più cauti (ma non paurosi), Juventus di contropiede, Napoli di palleggio.

Angosciato dall’ultimo Szczesny, Sua Geometria aveva scelto Buffon. Non che abbia fatto cose straordinarie, ma ha murato tiri che se la giocavano con le traiettorie di Mandragora e Sanabria. Naturalmente, daranno la colpa a Gattuso: è un classico. Non credo che il pareggio (in chiave confronti diretti) ne abbia condizionato l’approccio. Ha chiuso con un sacco di torri, ha avuto poco da Insigne, quasi niente da Mertens e Lozano. Il meglio, da Di Lorenzo e Zielinski.

I topi d’archivio mi spingono a segnalarvi che mancherebbero due penalty, uno per parte: 34’, Lozano su Chiesa; 45’, Alex Sandro su Zielinski. E allora? Dimenticavo: su tutti, Chiesa. Ha 23 anni, il doppio dribbling con il quale ha armato Cierre merita un cin cin. Svenga di meno e pensi di più alla porta. E’ uno dei rari bipedi che corrono, in Italia, alla velocità dell’Europa.

Quarant’anni: ma in due

Roberto Beccantini6 aprile 2021

Con l’andata dei quarti la Champions si riprende il centro del villaggio. Non ci siamo più noi (capita spesso), non ci sono più né Cristiano né Messi (doveva capitare, prima o poi). A Madrid, il Real batte il Liverpool senza abbatterlo: 3-1, Vinicius, Asensio, Salah, ancora Vinicius. Mancavano le dorsali difensive, da Sergio Ramos-Varane a Van Dijk-Matip: meglio le bende di Zizou dei cerotti di Klopp.

Primo tempo, solo blancos. Secondo, un po’ più Reds. C’erano una volta i terzini-fionda, Alexander-Arnlod e Robertson: il calcio del virus li ha come normalizzati. Soprattutto AA, sicario involontario del raddoppio. Il Real è tornato Real: abbastanza, almeno. Il Liverpool non ancora. Si cerca, brancola, persino i baffi di Alisson danno l’idea di una valigia smarrita.

Fra i migliori, Kroos e Casemiro. Disse un giorno Arrigo a Franco Baresi: «Franchino, ricordati. Ogni volta che fai un lancio io sto male». L’ha fatto Kroos, spalancando la porta a piè veloce Vinicius: proprio un funerale la faccia di Zidane non mi pareva.

Manchester City 2 Borussia Dortmund 1. De Bruyne, Reus e, al 90’, Phil Foden, un candelotto di talento e di dribbling (evviva!). Per un’ora, equilibrio sostanziale, con il Borussia tutt’altro che prono. Fino alla palla-gol di Haaland murata da Ederson. Dopodiché, solo «avanti Guardiola». Ma poiché il calcio è metà arte e metà lotteria, ecco l’assist del pompierone norvegese (voto 6) e la zampata di Reus. Sembrava finita. Non lo era. Per la cronaca, e per la storia, mai avrei annullato il gol di Bellingham, sull’1-0. Gioco pericoloso un tubo. Emre Can ha introdotto la rete di De Bruyne, frutto di un’azione rapida, lampeggiante e verticale, come a certe squadre riesce solo in allenamento. Kevin De Bruyne, preso che era un tozzo di pane e trasformato (dal Pep) in caviale. Tuttocampista, lui sì.

Dall’archivio: Vinicius più Foden, 40 anni in due. L’età di Ibra a ottobre. Però.

I soliti noti

Roberto Beccantini3 aprile 2021

E’ stato un derby di episodi, macho ma non carogna, con Davide (Nicola) abbastanza Golia e un 2-2 che serve più al Toro che non alla Juventus. Chiesa, doppietta di Sanabria, poi Cristiano, quando ormai sembrava tutto finito (o mai cominciato, dipende).

La «speranza» è che sia colpa di Pirlo. Serve un capro espiatorio. Eccolo. Sia chiaro: sbaglia a incaponirsi con il quartetto «boh», un modulo che deporta Kulusevski in periferia, ma vogliamo parlare delle ennesime fotte? Eravamo rimasti ad Arthur contro il Benevento, ecco Szczesny due volte e Kulu, sul secondo, nel bis laziale di Correa. Non si tratta di rigare i meriti del Toro; si tratta, se mai, di evitare che il rogo coinvolga solo Pirlo. Credo che, a portieri invertiti, avrebbe vinto Madama, alla luce delle paratone di Sirigu sul marziano e Bentancur, complice il palo, ma va pure detto che, agli sgoccioli, il polacco si è arrampicato su Sanabria, un bomber che sarebbe piaciuto a Boskov (zere idee, solo la porta), e su Baselli.

Ha fatto, il Toro, la partita che mi aspettavo: di catenaccio, di agguati. La Juventus sembrava vispa e poco Teresa ma poi è saltata, strada facendo, sul fuoco amico e su quel maledetto possesso palla che la spinge a fare più rugby che calcio. Si era ancora zero a zero, quando De Ligt è zompato su Belotti: per me, rigore; per Fabbri, no.

La Juventus non ha che uno schema, i cross di Cuadrado. Partire con Ramsey e un 4-3-3 classico: chissà. Se togli Chiesa e Cierre in versione «uffa» ma comunque decisivo, gli altri? L’organico era dissanguato dal conto delle «cene eleganti» (però Bernardeschi, mamma mia), il Toro aveva più fame (evviva Mandragora, finalmente padrone del destino). Mercoledì arriva il Napoli e, dopo nove scudetti, la pigra Juventus non è più nemmeno terza.