C’è sempre da imparare

Roberto Beccantini14 agosto 2020

Da Brasile-Germania 1-7 a Bayern-Barcellona 8-2. Figli di Lutero, i tedeschi detestano il commercio delle indulgenze. Hai peccato? Devi pagare fino in fondo; al diavolo grazie, sconti, condoni. Così fu a Belo Horizonte, così è stato a Lisbona. Il Bayern di Flick: e non di Guardiola. Di un carro attrezzi precettato d’urgenza. C’è sempre da imparare.

Uno scarto epico, una vittoria storica, una sconfitta mortificante. Mai come in questo caso gli estremi si toccano e l’enfasi ha diritto di cittadinanza. Non è stata una partita, è stato un massacro, salvo le scaramucce introduttive, quando la difesa zemaniana dei bavaresi aveva rimesso in gioco i troppi Ronzinante di Messi. Ma se il Bayern difendeva alto, il Barça proprio non difendeva: e questo, nonostante il 4-4-2 di Setien, povero vaso di coccio, con Sergi Roberto al posto di Griezmann.

Ricapitolando: Thomas Muller, autogol di Alaba, Perisic (ala pura, non «a tutta fascia» come nei piani di Conte), Gnabry, ancora Muller, poi Suarez, quindi Kimmich (il terzino destro, su azione garrinchana di Davies, canadese, 19 anni, il terzino sinistro), Lewandowski e due volte Coutinho. A parlare di dominio fisico, tecnico e tattico si rischia di fare la figura degli scappati da cattedra. E allora mi fermo.

A Messi era bastata una mezz’oretta, contro il Napoli. A 33 anni, i dribbling cominciano a pesare, come per Cristiano: soprattutto nel deserto (dal ter Stegen dei piedi ingessati al Vidal scomparso, per tacere di Lenglet e Piqué). Ma ripeto: sarebbe come sparare sulla croce rossa.

Pure io avrei scommesso su coloro che nel Novecento chiamavamo panzer, e che oggi attaccano alternando le sportellate al palleggio fino. Eppure, al di là di tutto quello che è successo, e non mi sembra poco, per la Champions continuo a dire City.

C’est la vie

Roberto Beccantini12 agosto 2020

Sono crollati sul traguardo, come Dorando Pietri a Londra. I guerrieri del Gasp ci hanno regalato pagine di calcio e di vita, hanno onorato al meglio un popolo ferito, hanno dato tutto. Non è bastato: capita. In semifinale ci va così il Paris Saint-Germain, 50 anni oggi e, alle spalle, uno stato al posto di una città: il Qatar.

L’Atalanta si era alzata dai blocchi fiutando l’aria. Il gol di Pasalic le aveva trasmesso fiducia. Sapeva chi aveva di fronte: nominalmente, una squadra; in pratica, un fuoriclasse (Neymar) al quale, nella ripresa, se ne sarebbe aggiunto un altro: Mbappé. Calcio mistero senza fine buffo: proprio Neymar si mangiava due gol fatti: il primo, fragoroso, addirittura sullo 0-0.

Strada facendo, la Dea ha perso il Papu e a cambi esauriti, proprio negli attimi in cui tutto si è deciso, Freuler: uno dei migliori con De Roon. Non poteva non menare un po’, l’Atalanta, e l’ha fatto. Gasperini le ha insegnato a giocare da «dentista»: sistema puro, uomo contro uomo, e sempre avanti, mai indietro. Non andategli a dire che, nel finale, un briciolo di prudenza non sarebbe gustato: vi risponderà che ognuno ha il suo stile, e il suo è quello. Catenaccio, solo se mi obbligano: appunto.

Uno a zero fino al 90’, poi Marquinhos, poi Choupo-Moting, un altro della panchina (a proposito) al 93’. Lo so, fa male perdere così. D’altra parte, questa è la Champions e l’Atalanta, alla riffa degli episodi estremi, era in dieci e con le bombole di un 2000, Da Riva, a mendicare ossigeno.

C’è chi può ricorrere a un carro attrezzi come Mbappé e chi no: lo sport impiega spesso i sentieri più illogici (alludo alla trama, ai due mondi in campo) per atterrare sul risultato più logico. Thiago Silva è stato una trave, Icardi una pagliuzza, Malinovskyi una stampella fragile. Anche adesso che non c’è più niente da fare, penso che sia stato bello sognare. C’est la vie.

Palla a Lukaku

Roberto Beccantini11 agosto 2020

Palla lunga a Lukaku. L’Inter comincia da lì, da una scelta precisa, da una fissa di Conte. In Italia non è bastata, in Europa League vedremo, con il Bayer sì. Che poi, fra occasioni sprecate (una montagna, anche dal belga) e rigori correttamente cancellati dal Var (due), il risultato sia stato «solo» di 2-1, questo è un dettaglio, non secondario, che contribuisce a rendere il calcio, inno ai piedi, lo sport più universale: perché se non liquidi la pratica, c’è il rischio che la pratica liquidi te.

Quinti in campionato, i tedeschi erano già stati demoliti dalla Juventus del «fu» Maurizio nella fase a gironi di Champions: 3-0, 2-0. Altri tempi, altre coccole. Subito aggressiva, l’Inter, subito padrona e subito a segno: con Barella (esterno destro, Hradecky poco reattivo) e Lukaku. Alla Lukaku: di spalla, corpo contro corpo, cuoio difeso da pivot sotto canestro e appoggiato di bisturi lento, preciso.

Tanto piovve che non tuonò. Havertz, bravo ma lento, ha fatto tesoro di una delle rare azioni che avevano portato il Bayer dentro l’area di Handanovic, con il risultato di rianimare una partita mai cominciata. Al netto dello scarto, l’Inter aveva sofferto molto più con il Getafe, e non solo per il penalty sciupato da Molina. In difesa, bene Godin; e bene pure Eriksen, che questa volta non ha sprecato i minuti concessigli dal mister. Da verificare, in compenso, la coscia di Sanchez.

In semifinale, Conte affronterà la vincente di Shakhtar Donetsk-Basilea. Per la cronaca, non ci aggiudichiamo l’Europa League dal 1999, quando ancora si chiamava Coppa Uefa e la serie A era a 18 squadre. La alzò il Parma di Buffon, Thuram e Cannavaro, di Dino Baggio, papà Chiesa e Crespo. Allenatore, Malesani. Tre a zero al Marsiglia. Da quella sera, zero successsi e, chicca non meno imbarazzante, zero finaliste. All’improvviso, tracce di Inter.