Un derby piatto, rotolato noiosamente verso il 2-0 pro Goeba. Un gol per tempo: il primo al 18’, Weah di tap-in, su accelerata di Cambiaso e piede di Milinkovic -Savic; il secondo all’84’, Yildiz di testa, in tuffo, su «cioccolatino» di Conceiçao. Troppa differenza anche così, con la Juventus a costruire dal basso e ostruire dall’alto, tirchia nei tiri, avara di emozioni, e un Toro dominato per metà partita e per l’altra metà dignitoso, sì, ma capace di disturbare Perin, con Sanabria, solo all’88’ o giù di lì.
Veniva, Thiago, dalle fatiche di Lilla e pure stavolta i suoi sono calati alla distanza. Immagino che Vanoli avesse ordinato di far subito quello che è stato fatto – almeno in parte – nella ripresa: più pressing, più coraggio. Ma Sanabria contro Kalulu e Gatti non l’ha mai vista e Vlasic punta larga era una pallina di roulette che il croupier nascondeva tra le mani.
Per uscire dall’ordalia, la Juventus avrebbe dovuto suicidarsi. Locatelli padrone del centrocampo, Cambiaso-Yildiz frecce a sinistra, Vlahovic un po’ così e Thuram un po’ cosà . Occhio a Koopmeiners: non è ancora l’arrosto della Dea, non è più il fumo d’estate. Sei sconfitte nelle ultime sette gare, i granata: esiziale la perdita di Zapata. Con Juric si diceva: li carica troppo. Con Vanoli ho sentito dire: li ha caricati poco. La realtà è l’abisso tecnico. Per quanto Vlahovic non abbia cambi di ruolo, e la rosa non sia all’altezza di quelle di Inter, Napoli e Milan.
Se il braccino corto di Cairo impedisce di sognare, e non è poco, la Juventus di Motta procede a immagazzinare nozioni. Sotto porta stappa di rado champagne, sa essere grigia e barbosa, ma fin qui ha sbagliato solo una partita, con lo Stoccarda. E, in generale, il possesso titilla il mister. Difendersi «con» la palla, oggi; difendersi «senza» palla, ieri. «Creda a me: non creda a nulla»: Leo Longanesi dove sei?
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