Elementare, derby

Roberto Beccantini9 novembre 2024

Un derby piatto, rotolato noiosamente verso il 2-0 pro Goeba. Un gol per tempo: il primo al 18’, Weah di tap-in, su accelerata di Cambiaso e piede di Milinkovic -Savic; il secondo all’84’, Yildiz di testa, in tuffo, su «cioccolatino» di Conceiçao. Troppa differenza anche così, con la Juventus a costruire dal basso e ostruire dall’alto, tirchia nei tiri, avara di emozioni, e un Toro dominato per metà partita e per l’altra metà dignitoso, sì, ma capace di disturbare Perin, con Sanabria, solo all’88’ o giù di lì.

Veniva, Thiago, dalle fatiche di Lilla e pure stavolta i suoi sono calati alla distanza. Immagino che Vanoli avesse ordinato di far subito quello che è stato fatto – almeno in parte – nella ripresa: più pressing, più coraggio. Ma Sanabria contro Kalulu e Gatti non l’ha mai vista e Vlasic punta larga era una pallina di roulette che il croupier nascondeva tra le mani.

Per uscire dall’ordalia, la Juventus avrebbe dovuto suicidarsi. Locatelli padrone del centrocampo, Cambiaso-Yildiz frecce a sinistra, Vlahovic un po’ così e Thuram un po’ cosà. Occhio a Koopmeiners: non è ancora l’arrosto della Dea, non è più il fumo d’estate. Sei sconfitte nelle ultime sette gare, i granata: esiziale la perdita di Zapata. Con Juric si diceva: li carica troppo. Con Vanoli ho sentito dire: li ha caricati poco. La realtà è l’abisso tecnico. Per quanto Vlahovic non abbia cambi di ruolo, e la rosa non sia all’altezza di quelle di Inter, Napoli e Milan.

Se il braccino corto di Cairo impedisce di sognare, e non è poco, la Juventus di Motta procede a immagazzinare nozioni. Sotto porta stappa di rado champagne, sa essere grigia e barbosa, ma fin qui ha sbagliato solo una partita, con lo Stoccarda. E, in generale, il possesso titilla il mister. Difendersi «con» la palla, oggi; difendersi «senza» palla, ieri. «Creda a me: non creda a nulla»: Leo Longanesi dove sei?
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Di «short muzzle»

Roberto Beccantini6 novembre 2024

Amarcord di Champions. Inter-Arsenal 1-0 ci riporta, di peso e di cuore, al calcio degli anni Sessanta. Partenza-sprint, traversa di Dumfries, gunners in difficoltà. Così, almeno, sembra. Sullo sfondo, un’ordalia dalla trama ermetica, ambigua. Un’uscita alta e spericolata di Sommer su Merino non commuove Kovacs. Il quale Merino alzerà troppo il gomito per murare Taremi: rigore. Siamo al 48’ del primo tempo. Calhanoglu trasforma di destro e di destrezza (19 su 19, per la cronaca).

Inzaghi pensava al Napoli: turnover, dunque. Gli è andata di lusso. Arteta ha perso Rice, e là in mezzo si naviga a vista, di titic-titoc. Piano piano l’Arsenal prende possesso della notte. Finirà con 14 angoli a zero, due salvataggi in extremis – di Dumfries sulla linea, di Bisseck su Havertz – e una parata di Sommer (ancora sul tedesco); accerchiamenti e assembramenti a parte. Da Picchi, Guarneri e Burgnich a De Vrij, Bisseck e Darmian (o Pavard): palla alta e incornare. E dal momento che Inzaghino è uomo di mondo, un bel 5-4-1 a sigillare il bottino. Catenaccio, oh yes: ma dal boato di San Siro, non risultano scomuniche, prese di distanze, fucilate alle lavagne, nostalgie per il Luna Park del derby d’Italia. Quattro partite, dieci punti e zero gol al passivo. E dal momento che la Premier resta il riferimento sommo: 4 puntazzi tra Guardiola (a casa sua) e il suo allievo.

Zero, come l’Atalanta. Lo Stoccarda aveva sgonfiato la Juventus allo Stadium. La Dea lo rosola come sa, di fisico e in verticale, senza rinunciare al suo stile, alle sue risorse. Qua e là soffre, certo, ma l’Europa non porge mica l’altra guancia. Il gol di Lookman è figlio di De Ketelaere, i ragazzi della via Gasp. La rete di Zaniolo, di uno sgorbio della difesa tedesca. Zaniolo, già: mancava solo lui, all’appello. Eccolo. L’Ego di Bergamo adora questo tipo di restauri. E se mai ci riuscisse…

Fonseca, perdonaci

Roberto Beccantini5 novembre 2024

Fuochi di Champions. Noblesse oblige, precedenza al Milan. Quando si vince 3-1 al Bernabeu, hai voglia di recitare la cronaca come se fosse una giaculatoria. Devi mettere in preventivo tutto: le occasioni del Real, i tuffi del tuo portiere (Maignan), le mischie, la storia che si attorciglia, il miedo escenico che s’incazza. Il Milan di Fonseca (si può dire di Fonseca? Ormai lo si dice di tutti, tranne uno): con Musah a destra, la mossa (benzina ed equilibrio a centrocampo); e con un Leao, finalmente, a livello Leao. Suoi il tiro, respinto, e l’assist, pennellato, che hanno propiziato i tapin di Morata e Reijnders. Non gli si chiede la luna: si pretende, semplicemente, che giochi «così». Non sempre, per carità, ma un po’ più del quasi mai dell’ultimo scorcio.

La capocciata di Thiaw (su angolo di Pulisic) e il rigore di Vinicius (procurato da Emerson Royal) avevano «calientato» una trama che il fuoco dei duellanti ha sempre reso spasmodica. Perché sì, molti ne potava segnare il Madrid, ma pure il Diavolo. Aggressivo, compatto, reattivo, incisivo: e in difesa, che resti tra di noi, disposto a cinque. Ancelotti veniva dallo 0-4 del Clasico e dalla verguenza del «nessuno a Parigi» per il Pallone d’argento di Vini. A occhio, mi pare che Mbappé tolga spazio a Bellingham e che, in coppia, debbano registrare la mira.

Rimane il risultato: enorme. E adesso, spazio ai dibattiti: immagino che Fonseca, dalla schiappa salvata in Brianza dalla «norma dello svantaggio», sia tornato l’Aladino del derby. Ah, serva Italia. Vi lascio immaginare la ressa attorno al suo carro mesto. Non c’era un’anima, dopo Monza.

Dalla cima Coppi del martedì all’1-1 della Juventus. L’idea di Thiago è giusta, i piedi non sempre (e i cambi proprio no). Il Lilla, tra parentesi, era spolpatissimo e questo accentua i rimorsi, i rimpianti. In Europa, ti chiedono il conto quando meno te lo aspetti.
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