Tiri in porta, zero. Succede nelle migliori famiglie, è capitato al Liverpool campione d’Europa, del Mondo e (ormai) della Premier. La Champions è ricominciata così, nel segno di una diga, la diga del Cholo, che ha imprigionato il mar Rosso. Date a Simeone un gol di vantaggio (gliel’ha dato Saul, in mischia, su errore di Fabinho) e dategli anche – al di là del fattore campo, prezioso – una grande da imbrigliare. Avrete la versione moderna del Padova di Nereo Rocco, sempre sia lodato.
Klopp tornava al Wanda, sul luogo del diletto. Mentre i Koke e i Savic dell’Atletico mordevano qualsiasi garretto che non parlasse spagnolo, il Liverpool mi ha dato l’impressione di un gatto rifocillato e pigro. A volte, il trasloco da un torneo domato a un rodeo da cavalcare può dare di queste «vertigini». Il risultato, sia chiaro, non preclude il passaggio ai quarti, ma ad Anfield, di sicuro, i cholisti non commetteranno le «fotte» di cui si macchiò il tronfio Barça di Messi.
Non che Alisson abbia dovuto fare chissà cosa (una parata provvidenziale su Morata, comunque), ma di Oblak ricordo ancora meno. Disarmati i terzini Alexander-Arnold e Robertson, loro che, di solito, sono le fionde; accerchiato e soffocato il tridente (con Mané e Salah sostituiti, con Origi lontano dalla versione anti-Spurs). Ripeto: ogni tanto si appisolava Omero e, dunque, non è il caso di gridare allo scandalo.
Più mosso il 2-1 fra Borussia e Paris Saint-Germain. L’ha risolta una doppietta di Haaland, diciannovenne ciclope di Norvegia: di rapina e, come direbbero a Roma, di «scardabagno». Gioca per la squadra giocando per sé stesso: così giovane, così «vecchio». Inoltre: Erme Can vivo e vegeto, altro che. Verratti: il solito giallo e niente ritorno. Neymar (con barba alla LeBron): tap-in facile facile su fuga e toccata di Mbappé. Il Parco bolle già .