Troppa differenza

Roberto Beccantini21 settembre 2019

La Juventus di Antonio Conte «cominciò» da un 2-0 al Milan di Ibra e Cassano. La sua Inter è ripartita da un 2-0 nel derby – e, dunque, sempre dal Milan – dopo la magra europea con lo Slavia. Quattro partite, quattro vittorie. E questa, cruciale, molto al di là dell’episodio che l’ha orientata: il fuorigioco di Lautaro sul tiro di Brozovic, sanato – via Var – dalla deviazione di Leao.

E’ stato un derby giocato a spron battuto, che l’Inter si è presa fin dall’inizio, una sgommata dopo l’altra. Non a caso, il migliore del Milan è stato Donnarumma e, sempre non a caso, di Handanovic non ricordo una parata. L’occasione di Lukaku, quella di Lautaro, il palo di D’Ambrosio (anche se era un gol mangiato), tutto o quasi sotto l’ispirazione di un Sensi irresistibile palla al piede (palla agli altri, viceversa, qualche corpo a corpo l’ha sofferto), di un Barella ormai padrone del ruolo e di un tridente difensivo che non ha lasciato passare uno spillo.

Conte è andato sul classico, Giampaolo ha calato, a sorpresa, la carta Leao. Non male, il portoghese. E’ Piatek, semmai, che continua a deludere. Nell’Inter ho colto un’idea, una scintilla; nel Milan solo gambe, solo orgoglio. Si affrontavano le migliori difese e uno degli attacchi più scarsi. Per un’ora non c’è stata partita, o ce n’è stata poca. L’Inter premeva, il Milan si è sempre cibato di momenti, di avanzi.

Il pressing interista ha soffocato Suso e, soprattutto, Biglia, regista di un centrocampo scarno e avaro. Non che Lukaku avesse fatto sfracelli, ma il raddoppio, di testa, è stato una specialità della casa. Lautaro, lui, mi è piaciuto per la «garra». Due sconfitte in quatto partite sarebbero troppe in assoluto, figuriamoci per il Milan (anche se un Milan-cantiere). L’Inter, viceversa, i derby li vinceva pure con Spalletti, ma Conte, quando va in testa, difficilmente se la monta o gliela tagliano.

E il centravanti?

Roberto Beccantini21 settembre 2019

Quando torni dal bicchiere mezzo pieno del Wanda e devi scolarti un Verona, partite così sono all’ordine del giorno. Il pressing di Juric ha costretto la Juventus a giocare in contropiede. Un pressing di gruppo e di speroni, a rischio giallo, ma capace di mordere, di confondere. Ne aveva cambiati cinque, Sarri, e immagino quanto gli sia costato: lui che per i colpi di stato ne invocava appena diciotto.

Verre e Amrabat davano i tempi all’Hellas, nessuno li dava ai campioni. Ramsey, al debutto da titolare, annusava gli schemi, Dybala era Messi a metà campo ma poi? Cristiano pascolava ai margini, idem Cuadrado. L’area sorda e vuota, non c’era centravanti: una pacchia, per Kumbulla e Gunter.

Nulla da dire sul rigore dell’acerbo Demiral, dal quale è nato, comunque, il gol di Veloso (gran sinistro dal limite) dopo il palo di Di Carmine e la traversa di Lazovic. Il pareggio, in compenso, è piovuto da una carambola di Gunter su un tiro del gallese, tiro che, sono sincero, non mi era parso irresistibile. E sempre il povero Gunter, già artefice del penalty di Calhanaglou, ha propiziato quello su Cuadrado, trasformato da Cristiano.

Danilo e Alex Sandro hanno spinto poco, Bentancur aveva le sue cose, meglio, molto meglio Matuidi (fino, almeno, al momento dello sparo). «C’era Guevara» ha invano spinto la squadra a salire, ma non è che i dipendenti gli abbiano dato retta. Higuain ha sostituito Dybala: poca roba, ma quel sangue al naso era da rigore. Juric, la scorsa stagione, fu il primo a bloccare la Juventus. E fra la parata di Buffon su Lazovic e il palo scheggiato da Veloso, migliore in campo per distacco, stava per riuscirci di nuovo.

Rimontata, rimontante: è una Juventus che il massimo l’ha dato finora contro Napoli e Atletico. Non a Parma e Firenze, e meno che mai oggi. Dimenticavo: con Khedira in campo, ancora zero gol al passivo.

Una lezione, in tutti i sensi

Roberto Beccantini18 settembre 2019

Piano piano, la Juventus prova a staccarsi da Allegri per diventare di Sarri. Il 2-2 di Madrid è difficile da digerire per come si era messa (2-0) e, soprattutto, per come si sono presi i gol (testa di Savic, testa di Herrera: aggiunti ai due di Manolas e Di Lorenzo fanno già quattro su palle inattive: troppi). Difficile, ma bello da raccontare, visto il timbro tecnico e fisico dell’ordalia, un primo tempo così così, poi una ripresa da grande squadra, capace di soffrire e di rischiare, ma anche di far soffrire. E con lo slalom di Cristiano, al 94’, di gelare, comunque, quell’inferno chiamato Wanda.

Belle le reti, specialmente la prima: esterno destro bonucciano da urlo, servizio di Higuain, gran numero di Cuadrado, che «C’era» Guevara aveva preferito a Bernardeschi. Cuadrado è il classico scolaro capace di scrivere cuore con la q ma anche di beccare otto in un tema. Dimenticavo: contropiede purissimo. Più cesellato e arioso, il secondo: cross di Alex Sandro, sgrullata di Matuidi (uno dei cocchi di Allegri), in capo a una signora azione.

Simeone e Sarri se le sono date di santa ragione, sul piano tattico e a livello rambico, cercando di ribaltare il fronte della manovra (il Cholo), invitando le catene laterali a salire (il Comandante). In Champions, it’s not over until it’s over.

E’ stato, come Napoli-Liverpool, un romanzo fiammeggiante. Veniva, la Juventus, dalla partitaccia di Firenze. La reazione c’è stata, persino dopo il pareggio, ed è stata sempre da branco con «los huevos», cosa che in casa dell’Atletico non le era mai riuscita: due gare, due sconfitte, zero gol segnati. Sarri deve lavorare molto sui cross, l’area grand hotel non porta lontano. A certi livelli, inoltre, non si possono sbagliare certe scelte: penso a Danilo che ignora il marziano. Su tutti, Bonucci e Matuidi. Per una volta, prendo il bicchiere mezzo pieno.