Champions, finalmente. Il Napoli aveva già regolato il Liverpool la scorsa stagione (sempre nel finale: 1-0, Insigne), ma questa volta ha battuto i campioni d’Europa. Ari-giù il cappello, dunque. Ancelotti se l’è giocata sino al traguardo, con Insigne, Lozano e Mertens all’inizio, poi con i cambi, Llorente su tutti. Ha sofferto, certo, ma la parata di Adrian su Mertens non è stata meno impegnativa e profonda di quella di Meret su Salah. Anzi.
Se si deve parlare di un rigorino molto «ino» e di assist di Van Dijk nell’azione del raddoppio, non si può non plaudire l’atteggiamento di una squadra che ha sempre cercato di restare tale, con coraggio e con coerenza, anche quando i Reds mulinavano come una clava il contropiede di Salah, Mané e Firmino.
Ho rivisto il miglior Koulibaly, ho ritrovato uno dei più preziosi carri attrezzi in circolazione, Llorente (ecco perché terrei Mandzukic: non si sa mai). Senza trascurare l’impatto di Di Lorenzo, dall’Empoli all’Europa. Anche un anno fa il Liverpool partì piano (tre sconfitte in trasferta), salvo spopolare in primavera. Vedremo.
Brutta Inter, viceversa. Alla costante mercé di uno Slavia che l’ha sovrastata in lungo e in largo: nel fraseggio, prima che sul piano fisico. Conte mi ha dato l’impressione di aver studiato poco gli avversari: e comunque, come Ancelotti, ha azzeccato i cambi, da Politano a Barella. La trama mi ha ricordato l’Inter spallettiana contro il Tottenham. Con la differenza che lo Slavia, a differenza degli Spurs, è stato molto più dominante: e se non avesse preteso di entrare in porta con la palla, tipo Barcellona, chissà come sarebbe finita. Pur in una partita così, con Lukaku boa soverchiata, Sensi ha confermato di essere un signor progetto. E non tanto o non solo per la punizione che ha propiziato il pareggio di Barella. Bravo, Marotta.