Per mezzora l’Ajax ha incantato come nel secondo tempo di Torino. Testa alta, petto in fuori, ricami al limite e dentro l’area avversaria; gol di Van de Beek, un altro paio di occasioni (la più ghiotta delle quali sciupata, per egoismo, proprio dal mio quasi parente), il solito gioco invasivo e per le nostre rustiche bocciofile, Atalanta esclusa, trasgressivo.
Poi, e qui entra in scena l’altra faccia della luna, l’Ajax si è tolto il papillon e la giacca dello smoking, tanto per far capire agli Speroni che, insomma: monelli sì, fessi no. Morale: 4-1 al Barnebau, 2-1 allo Stadium, 1-0 a Londra. E la finale di Champions che sembra, ormai, l’utopia di Galeano rovesciata: «se lei fa un passo, noi ne facciamo due».
Mancavano, al Tottenham, Kane e Son. Traduzione: tutto l’attacco. Non sono bastati, ma ad Allegri sarebbero serviti, quei due giocatori che, bene o male, hanno contribuito, più ancora di Alli ed Eriksen, ad alimentare un filo di speranza: Lucas Moura-Douglas Costa e Llorente-Mandzukic (il penultimo, non l’ultimo).
Il palo di Neres, a ripresa inoltrata, ha confermato che nel calcio tutto serve e nulla va stipato in cantina, a cominciare dal contropiede, a patto di non trasformarlo nell’unico feticcio. Non è stata, a essere schietti, una «semi» esteticamente memorabile. Devoto alle dritte di Mourinho, Pochettino ha cercato di metterla sul fisico, ma di Onana non ricordo una parata. Aver perso anche Vertonghen ha tolto un po’ di ciccia nelle mischie. Il successo dell’Ajax penso che rimanga però al di sopra di ogni dispetto o sospetto.
Blind e De Ligt: ecco una coppia di avvocati a cui, se fossi imputato, affiderei la mia difesa. Per il resto, tutto molto british: la resistenza, la resa, gli applausi ai vincitori. Come ai tempi di Adani ed Eva.