Un fischio di 80 anni

Roberto Beccantini17 marzo 2019

Nel fare gli auguri a Giovanni Trapattoni, che oggi compie 80 anni, si rischia di parlare più di «Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco» e di «Strunz», cose così, che non del grande allenatore che è stato. Ha covato e accompagnato generazioni di cronisti, ha vissuto il calcio con la laboriosità ruspante dell’artigiano che, a corte come a bottega, non si è mai creduto unto del Signore, neppure quando avrebbe potuto (alla Juventus, all’Inter, al Bayern, eccetera eccetera).

«Figlio» di Nereo Rocco, mediano elegante, marcò Eusebio e Cruijff e non si è mai vantato di aver annullato Pelé zoppo: dai titoli dei giornali ne avrebbe avuto facoltà. Il suo calcio è stato italianista per convinzione e non per ruffiana convenzione, ma il catenaccio non l’ha inventato lui, e piano con le etichette, visto gli attacchi che schierava: Bettega, Tardelli, Paolo Rossi, Platini, Boniek. Ha frequentato i trionfi e le sconfitte, «questi impostori», come Rudyard Kipling suggeriva al figlio.

Il suo pregio è stato la sincerità; e il suo marchio, un pragmatismo che piaceva a Giampiero Boniperti, il primo a fiutarne la sapienza contadina. Ha vinto in Italia, Germania, Austria e Portogallo. Non ha avuto fortuna con le Nazionali, Leo Longanesi l’avrebbe definito, parafrasando l’Italia democristiana, «metà acqua santa e metà acqua potabile». Ha polverizzato record (con la Juventus, con l’Inter), pensava al bello come a un’opzione e non come a un obbligo, diventò il custode della tradizione e fece in tempo a misurarsi con Arrigo Sacchi, che di quella scuola fu accanito eversore.

Se solo potesse, allenerebbe ancora. I giovani, magari: come sempre aveva sognato di fare, «un giorno». L’ultimo Trap si piace macchietta, cybermister, ma questa è cronaca. La storia è quell’altra; e la colonna sonora, dal trombone della banda del paese a un fischio.

Due scuole

Roberto Beccantini15 marzo 2019

Ma che bella sfida, Ajax-Juventus. Bella, perché l’Ajax di Cruijff chiuse proprio contro la Juventus, a Belgrado, la sua rivoluzione e la Juventus, proprio contro gli eredi di quella ribellione, alzò, a Roma, la Champions. Era il 1996. La storia tallona la cronaca, e la cronaca bracca la storia. Se l’avventura con l’Atletico ha incarnato il sabba di un calcio tutto imboscate e guerriglia, Amsterdam e lo Stadium celebreranno il confronto tra due scuole. L’Ajax del calcio totale, che rovesciò i ruoli fissi sotto la spinta libertaria dei Provo; la Juventus del calcio parziale, sospesa fra il richiamo della fabbrica e le sirene del glamour.

Lo stile Ajax e lo stiletto Juve. Ten Hag e Allegri, incantesimo e «incartesimo». I ragazzi di strada e la Vecchia Signora. Con Cristiano Ronaldo a soffiarci sopra, Eolo mai sazio. L’Ajax odierno non schiuma più come l’Ajax di una volta, ma gioca a ritmi folli, molto rischia per molto conquistare. Non gestisce: stupisce. Il primo tempo con il quale, in casa, stremò il Real resta, al di là del più iniquo degli eccessi di zero, un messaggio agli avversari, un invito ai palati.

De Ligt, De Jong, Ziyech, Tadic (soprattutto), Neres: c’è l’orchestra e c’è la musica. Servirà la Juventus di martedì scorso, non quella pavida di Madrid. Una Juventus che sappia imporre la propria esperienza e il proprio «casino organizzato». Gli opliti del Cholo ne subirono le spallate, i lancieri – comunque vada – costringeranno Madama a sbalzi assai più indiavolati. Riesco a immaginare l’Ajax di aprile, non ancora la Juventus: a meno che la rimonta non l’abbia liberata.

Per concludere, ecco il mio borsino: Tottenham 40% Manchester City 60%; Ajax 49% Juventus 51%; Liverpool 70% Porto 30%; Barcellona 55% Manchester United 45%.

Allegri(a)!

Roberto Beccantini12 marzo 2019

Sono sincero: non ci credevo. E adesso? Immagino i colpi di tosse, le occhiate furtive per controllare di non essere beccati mentre si sale sul carro di Allegri. Perché sì, la grande rimonta l’ha firmata Cristiano, con una tripletta, Cristiano-marziano, ma la Juventus più Juventus dell’anno l’ha preparata il gestore. Al Wanda fu Simeone a dargli una lezione, questa volta è stato Allegri a darla a Simeone. Sic transit Champions mundi.

La mossa di Emre Can nella linea a tre, ora stopper ora mediano, il bombardamento delle fasce, Spinazzola titolare, Bernardeschi «tuttocampista», lui sì, e un casino così ben organizzato che ha portato l’Atletico a capirci poco e, per questo, a tirare pochissimo (Griezmann mai, addirittura). D’accordo era un Atletico mutilato – senza quei «bestioni» di Diego Costa e Thomas, senza i terzini – ma aveva pur sempre due gol di vantaggio.

«Huevos», gambe e gioco. Gioco, finalmente: è stata la Juventus più bella in assoluto, persino di Old Trafford. In campo vanno i giocatori, ma se Cristiano non è stato l’ombra di Madrid lo deve anche al contributo della squadra (penso a Pjanic) e alle scelte del mister. Santa tecnologia sul raddoppio, certo, e pollo Correa sul rigore, ma che full immersion, gentili Pazienti, che lucidità ovunque e comunque.

Vogliamo parlare di Bernardeschi? e di Spinazzola «tutto fascia»? Ero dubbioso sull’impiego di Mandzukic, ma sono foglie in balia del vento. Mai, nel 2019, la Juventus si era espressa a questi livelli e su questi ritmi. E sui cambi, poco da dire: anche se Kean si è mangiato un gol; anche se Dybala lo avrei messo, oh yes, ma non al posto di Spinazzola.

Il romanzo continua. E i misteri che l’autore semina, aiutano a catturare i lettori. Eccone uno: por qué la Juventus gioca così solo quando è ferita e barcollante?