Passava ben altro, il convento di Udine, ai tempi di Bierhoff e Totò (Di Natale), ma questo vale per tutti coloro che affrontano le versione attuale, figlia dei «letti a due piazze» che la famiglia Pozzo condivide con il Watford. La Juventus ha vinto facile, ha vinto bene. E siamo a otto su otto, dieci su dieci calcolando la Champions. Voce dal fondo: la prima Roma di Garcia si arrampicò fino a dieci successi consecutivi in campionatoi, eppure non vinse nulla. Calma, dunque. Come no: calma.
Le scartoffie d’archivio sono bussole ambigue. Mi pare, scritto con tutto il tatto possibile in rapporto ai ruderi circostanti, che Allegri abbia scelto un atteggiamento più europeo. Non che prima fosse solo catenaccio e contropiede, ma dava spesso l’impressione – a me, almeno – non tanto di poter fare di più, quanto di poter fare meglio.
Una Juventus molto d’attacco nella formazione e nella gestione: ha chiuso l’avversario dentro la sua area e, rispetto a Frosinone, ne ha aperto il catenaccio già alla mezz’ora. E non solo per gli episodi: anche, e soprattutto, per le azioni. Bello il gol di Bentancur, il primo alla Giuve, per la garra di Dybala e il cross di Cancelo. Bellissima la fucilata di sinistro di Cristiano, un Cristiano da sei e mezzo, su sponda di Mandzukic.
A fronte di una palla-gol concessa a Lasagna e sventata da Alex Sandro, e di un paio di tiri da lontano (palo di Barak), il dominio è stato globale. Continuo a non capire i venti milioni di Mandragora, sono felice per il recupero di Scuffet, migliore in campo. Dopo di lui, Cancelo. Sono molti, però, a meritare la citazione: da Mandzukic (Mario, perdonali) a Pjanic, dalla coppia Bonucci-Chiellini allo stesso Bentancur.
A e da Manchester ne sapremo i più. Quello che già sappiamo non basta, ma poco non è.