Ma che belle passeggiate

Roberto Beccantini26 settembre 2018

Sei su sei. La pacchia è finita. Sabato, Juventus-Napoli. Si comincia a fare sul serio. Contro il Bologna, è tornato al gol Dybala mentre contro il Parma ha continuato a segnare Insigne. Oltre a Milik. Il Bologna, allo Stadium, ha fatto quello che ha potuto; immagino anche il Parma al San Paolo.

Bello, il primo tempo di Madama. Facile ma bello, rapido e scolpito da un’orgia di colpi di tacco. Veniva, il Bologna di Pippo Inzaghi, dall’impresa anti Roma. Aveva la pancia piena, aveva di fronte una squadra che l’ha subito messo al muro. Non c’era Mandzukic, Allegri ha riesumato dal baule il 3-5-2 e consegnato l’attacco a Cristiano e Dybala. Il portoghese si è mosso come il primario di una clinica che non sa chi operare: fuor di metafora, se tirare, far tirare, dove piazzare il bisturi.

Dybala ha segnato di destro, in acrobazia. Dubito che sia stata l’assenza del traliccio croato a resuscitarlo: c’era Mandzukic, a Marassi, quando il piccolo Omar ne fece tre al Genoa.

L’ho visto più vicino alla porta, più dentro la partita, con tutta la cautela che la fragilità dell’avversario giustifica: immagino che lo stesso ragionamento, in chiave camomilla, lo starà facendo Carletto a Napoli.

Come gesto tecnico, a parte un gran tiro di Cancelo, scelgo il passaggio di Cuadrado nel cuore dell’azione che ha portato al raddoppio. Messo in ghiaccio il risultato, la Juventus ha decorato il secondo tempo con la noia premurosa di una mamma che consiglia al figlio di uscire con il giubbino: perché non si sa mai.

Juventus-Napoli, dunque. Da Allegri versus Sarri ad Allegri contro Ancelotti. Che ne ha cambiati nove, addirittura, tra Torino e Parma. L’Insigne più punta è il punto. Sarà una grande partita a scacchi. Chissà se condizionata dagli impegni di Champions, la Juventus con lo Young Boys, il Napoli con il Liverpool.

Il lato B

Roberto Beccantini23 settembre 2018

Non è stata brillante come il Napoli a Torino, la Juventus, e neppure frizzante come l’Inter a Marassi. Eppure, sulla carta, aveva la trasferta più facile: Frosinone. Sono partite – e sono catenacci, soprattutto – che se non li sblocchi subito, finisci per subirne quel senso di chiuso che trasmettono. La squadra di Allegri vi ha girato attorno a un ritmo così lento che nemmeno i tesori spesi a Valencia giustificavano.

Ad Allegri, livornese, piace il basket. Ha la rosa più forte e più larga e, dunque, tra una gara e l’altra e tra un tempo e l’altro, può permettersi cambi in quantità (e di qualità) cestistica. L’equilibrio l’ha spaccato CristianVar, al quarto tentativo e una punizione sulla barriera, ma l’ordalia l’hanno orientata, se non decisa, le staffette: Bernardeschi per Bentancur e Cancelo per Cuadrado.

Bernardeschi. Al Mestalla tra i migliori, al Benito Stirpe il migliore: rete del raddoppio a parte. Calma e sangue freddo, certo, ma ha tutto per diventare il nostro De Bruyne, come Candreva prima che rallentasse la scalata. Sono attaccanti di sacrificio che sanno coprire tutto il fronte e non considerano il gol un diversivo. Per fortuna.

In compenso, resta da definire la posizione di Dybala. In un centrocampo che, al di là della composizione, sembra sempre che giochi insieme per la prima volta, il piccolo Sivori non ha mai tirato, se non da fermo, e offerto rari scampoli di un repertorio che non può essere così dimagrito, al di là delle fisime del mister e al di qua del Cristianesimo. Si dia una mossa.

Cinque partite, cinque vittorie: il «normale» che coincide con il massimo. Mercoledì il Bologna, sabato il Napoli. Non scherzo: un premio per chi indovina lo schema di Ancelotti e la posizione di Insigne.

Con il rosso si passa

Roberto Beccantini19 settembre 2018

Con il rosso si passa, comunque. Dico subito che l’espulsione di Cristiano, la prima delle sue Champions, mi è parsa oggettivamente non giustificata, al di là del confronto ravvicinato con Murillo. In assenza di Var, Brych si è fidato della tiratina di capelli suggeritagli dal giudice di porta. Mah. Aggiungo anche che la Juventus stava dominando, e solo per colpa della mira di Mandzukic, di Khedira, di Matuidi, oltre che per i riflessi di Neto, non aveva già spaccato l’equilibrio.

Il Mestalla è il Mestalla, una polveriera, ma se il Valencia è 17° nella Liga e deve ancora vincerne una (tre pari, una sconfitta), una ragione ci sarà. Si è visto. Allegri ha dovuto «inventarsi» una delle partite a lui più care, tutta Chiellini e Bernardeschi, In dieci contro undici, la sua Juventus aveva vinto anche a Lione. Questione di carattere, di mutuo soccorso.

La rabbia e l’uscita di Cristiano avrebbero potuto inquinare la reazione. C’è stata, invece, ed è stata all’altezza. Nella notte degli episodi, sono stati i rigori a solcarla. Brych ne ha fischiati due per Madama, figli «anche» della spettinatina di cui sopra, trasformati entrambi da Pjanic. Il primo, procurato da Perjo su Cancelo in chiusura di tempo; il secondo, di Murillo (toh) su Bonucci in avvio di ripresa. Marcelino ha buttato dentro punte su punte, ma i senzaCristiano hanno concesso ai suoi esclusivamente tiri da fuori; l’unico dentro l’area gliel’ha offerto il pessimo Brych, agli sgoccioli degli sgoccioli, complice una sbracciata di Rugani, e a ogni buon conto Szczesny l’ha parato a Parejo.

Sarebbe stata una bella partita, forse. Non lo è stata per i motivi che sappiamo. Ma sappiamo anche che la Juventus, quando vuole, sa essere di ferro. Con o senza il suo marziano. Era una risposta che mancava. Non è tutto, per carità. Ma neppure poco.