I titoli in coda

Roberto Beccantini19 settembre 2018

La Champions fa subito un prigioniero, il Napoli, e ne libera un altro, l’Inter. Il Tottenham stava vincendo grazie a un gollonzo di Eriksen, scarto meritato più da quell’episodio in poi (quando ci ha pensato Handanovic a evitare il patatrac) che non in precedenza. L’Inter era confusa, sterile, quasi mai schiava, quasi mai padrona. I 65 mila del Meazza non sapevano più cosa seguire: se il cuore o la pancia.

Improvvisamente Icardi. Minuto 85: destro filante, bellissimo, dalla lunetta. Icardi, fin lì periferia della periferia.

Non più improvvisamente Vecino. Minuto 92: di testa, in mischia. Icardi, Vecino: gli uomini che avevano rovesciato la Lazio nello «spareggio» dell’Olimpico.

Il calcio non finisce mai anche quando sembra che lo sia. Soprattutto se di mezzo c’è l’Inter, la cui follia avrebbe di sicuro incuriosito e ispirato Erasmo. Gli Spurs, in compenso, si sono letteralmente sciolti. Tramortiti e impauriti dal pareggio, in balia di un avversario che non riuscivano più a trattare da nano, gigante com’era diventato. Eppure, secondo Gianni Brera, gli inglesi vinsero la guerra contro i tedeschi proprio perché furono così stupidi da non capire che l’avevano persa. Continuarono a combattere e la vinsero. Come ha fatto l’Inter, coma non ha fatto il Tottenham. E così, immagino, Spalletti sarà elevato a genio tripallico e Pochettino retrocesso a mister apallico.

Da San Siro al Marakana. Elogio del catenaccio, potrei chiosare. Agli ordini del superbo Rodic, la Stella ne ha fatto largo impiego. Le è andata bene (traversa di Insigne), ma il Napoli – un po’ lento e impreciso nell’ultimo passaggio – l’ha aiutata. Ancelotti aveva piazzato Allan davanti alla difesa, Insigne alla Dybala, lanciato Fabian Ruiz. Nulla di clamorosamente sbagliato, nulla di clamorosamente efficace.

La cicogna e il raptus

Roberto Beccantini16 settembre 2018

Lo sputo di Douglas Costa a Di Francesco ci porta lontano da tutto, anche dalla cicogna, chiamiamola così, che grazie alla segnalazione di un passante (Ferrari) aveva trovato finalmente la Clinica dove depositare il primo gol di Cristiano (per il secondo, invece, ci avrebbe pensato un parente, Emre Can).

Douglas Costa. Gomitata, testata e spunto: non ci sono se e non ci sono ma. Espulso, verrà squalificato e mi auguro che pure la società intervenga. Punto e a capo. C’era Cristiano. C’era Dybala. C’era il Sassuolo. C’erano tutti. E’ stata una partita agra, come la vita di Luciano Bianciardi. Non ho colto i salamelecchi che, viceversa, non saranno sfuggiti ai bar sport. In chiave Champions, Allegri aveva rinunciato a Pjanic, e dal momento che anche Emre Can è uomo di passo, e di passaggio, la Juventus portava palla, a ritmi tali, per giunta, da consentire ai dirimpettai agevoli ostruzioni.

Boateng falso nueve offriva a Berardi e Djuricic incroci curiosi e interessanti. De Zerbi è uno zemaniano che il marciapiede ha reso più casto. Conosce i dazi che si pagano allo Stadium, soprattutto se si fa casino in area: come Lirola, come Ferrari.

Alla Juventus tutti cercavano di far segnare Cristiano, la qual cosa non sempre spalanca la porta ai Matuidi di turno. Dyabala non giocava titolare dalla prima. Si è mosso tra Mandzukic e CR7, con rari guizzi all’altezza del suo bagaglio. Cancelo (in particolare) e Alex Sandro hanno bombardato le fasce, lo stesso Douglas Costa pre-raptus era stato prezioso: vedi alla voce panchina.

Il gol di Babacar (in anticipo su Bonucci, ops) ha consegnato all’archivio uno scarto che nasconde spine fastidiose. Quattro partite, quattro vittorie. Il calendario domestico ha dato una mano (e continuerà a darne: Frosinone, Bologna). Ecco perché il trasloco a Valencia non va trascurato.

Tiri chi può

Roberto Beccantini10 settembre 2018

Abbiamo un portiere, Donnarumma, ma in due partite non abbiamo mai tirato in porta, se non su rigore. E così, tra Polonia e Portogallo un pari e una sconfitta. Eppure Mancini ne aveva cambiati nove. Eppure era passato dal 4-3-3 al 4-4-2. Eppure questa volta abbiamo sempre giocato in undici, senza il Balotelli prima zavorra e poi alibi.

Non c’era Cristiano, il torello portoghese ci ha tenuto «vivi» fino alla fine. Il nuovo ct potrà sempre dire di aver perso «solo» con i campioni del Mondo e d’Europa. Il gol l’ha segnato André Silva, il pacco del Milan. William Carvalho, Bernardo Silva e Bruma sono stati i più incisivi. Il duello tra il deb Lazzari e Bruma è stato impari ma salgariano.

In generale, ogni palla persa era un contropiede. Da qui auto-traverse, parate di Romagnoli e Donnarumma, mischie, brividi. Senza mediani d’appoggio, Jorginho sembrava un naufrago. L’arrosto di Zaza ha, se non altro, infastidito il truce Pepe. Non il fumo di Immobile e tanto meno di Chiesa, già promosso a «predestinato». Piace anche a me, ma piano con l’enfasi.

Si è chiuso con Berardi, Belotti e il 4-2-4, con una squadra stracciata in avanti e i rivali sin troppo casti sotto porta. Al di là dei lisci di Caldara (nessuno nasce imparato), il problema rimane il gol. Per segnare, bisogna tirare; per tirare, bisogna ricevere munizioni. L’eccesso di zero costò il mondo a Ventura. il capro espiatorio che il popolo aspettava con sadica libidine.

La Nations League – di cui, ripeto, non sentivo la mancanza – ha il torto o la ragione di trasformare la benché minima sconfitta in un mezzo dramma. Cappio che le amichevoli, viceversa, non stringevano al collo dei risultati. Non si discute lo spirito, sempre forte: si discute la carne (dal centrocampo in su), ancora troppo debole per resistere a certe tentazioni.