Conquistare Mosca è sempre stato storicamente difficile. Non ci è riuscita nemmeno la Spagna che il ct Cherchesov, memore della strategia anti-napoleonica del generale Kutuzov, ha portato ai rigori. E così la Spoon River delle teste coronate si allunga: Germania Ovest, Argentina, i dieci palloni d’oro di Leo Messi e Cristiano Ronaldo, Spagna. Campione d’Europa nel 2008, del Mondo nel 2010, ancora d’Europa nel 2012. Sic transit tiki-taka mundi.
E’ stata la classica operazione nel corso della quale, dopo aver addormentato il paziente (autogol di Ignashevic), si è appisolato il chirurgo (braccio alto di Piqué, che fosse di spalle non c’entra, penalty di Dzyuba). Sulla partita poco da aggiungere: ispida, noiosa, territorialmente squilibrata ma come tiri «nudi e crudi» neppure tanto.
I maniaci delle statistiche brinderanno alla quantità di possesso palla e ai più di mille passaggi ricamati dalla Premiata sartoria Iniesta (non subito però, questa volta a gioco in corsa). Se avesse potuto, sempre alla «Kutuzov», la Russia avrebbe dato fuoco alla sua metà campo, ma non potendo ha alzato un catenaccio che, immagino, avrà commosso i nostalgici e innoridito i moderni (non il sottoscritto). Perfino Golovin – una mezzala che dà l’idea di saper fare un sacco di cose anche quando non le fa – ha partecipato alle trincee, oltre che alla riffa dal dischetto.
Il capro espiatorio è pronto e si chiama Hierro, il comandante che esce. E’ la norma, da Buenos Aires a Madrid. Scaviamo, prima di giudicare. Con Xavi, Iniesta giovane e ne butto lì un altro: Fabregas, il torello restava un mezzo, con Koke è sembrato un fine. Triste, barboso y horizontal. Prendete Isco: per gudagnare un metro (all’ala, per giunta), doveva marcare addirittura se stesso. E poi Diego Costa, l’orco scomparso. Anche per questo la favola è finita male.