Come in un giallo

Roberto Beccantini25 giugno 2018

Alla fine, ma proprio alla fine e solo alla fine, è andato tutto come era nei (miei) voti: Spagna prima del gruppo B, Portogallo secondo. Qual è il problema? E’ che per arrivarci siamo dovuti passare attraverso un Mortarolo di Var. La Spagna perdeva 2-1 al 91’ contro il Marocco (senza Benatia), un regalo Iniesta-Sergio Ramos, il triangolo Iniesta-Isco, la bellissima schiacciata del ventunenne En-Nesyri sulla spalla di Sergio Ramos, e di tacco, addirittura, il 2-2 di Iago Aspas, quando ormai le furie erano solo rosse.

Una Spagna strana, che segna tanto (6 gol) pur tirando poco e incassa molto (5 gol) pur «tikitakeggiando» tanto. Da Lopetegui a Hierro non penso che sia cambiato il mondo: al massimo, il modo di comunicare. C’è un però. Non si discute il rango di favorita: si discute l’equilibrio, simbolo della premiata sartoria.

Nemmeno il Portogallo è stato brillante. In vantaggio con una trivela di Quaresma, non ha cercato il colpo del k.o. come avrebbe potuto e così si è esposto al calcio-rodeo dell’Iran fino all’1-1 e al rischio, concreto, dell’eliminazione. Ho trovato «rigorini» quello concesso e sbagliato da Cristiano Ronaldo (sul patibolo, prima o poi salgono tutti) e quello realizzato da Ansarifard al 93’. Non al massimo dello smalto, ma sempre sulla rampa di caduta, il Pallone d’oro ha rischiato seriamente l’espulsione: non tanto per la sbracciata che aveva portato il paraguaiano Caceres al primo giallo (non era grave, caro arbitro, ma se corre al Var…), quanto per l’assenza del secondo dopo una «parata» sulla tre quarti, a impedire l’ultimo campanile dei rivali. In caso di squalifica, non sia mai detto, avrebbe saltato gli ottavi con l’Uruguay che, zitto zitto, ha spazzolato la Russia, attesa al varco dalla Spagna. Unico caso in cui «bandiera» rossa, per forza, trionferà.

Polacchini

Roberto Beccantini24 giugno 2018

Se nessuno zero a zero in 32 partite è record, la media gol schizzata a 2,65 sancisce il ritorno alla normalità. E’ il Mondiale dei centravanti e non dei portieri, almeno per adesso. E’ il Mondiale che, alla vigilia dell’ultimo turno della fase a gironi, saluta la Polonia, rischia di perdere l’Argentina e, paradossalmente, potrebbe regalare già negli ottavi Brasile-Germania, ma anche Serbia o Svizzera-Germania, dal momento che i tedeschi, per non arrivare secondi nel loro gruppo, dovrebbero suicidarsi più di quanto non abbiano già tentato di fare, mentre un’eventuale sconfitta potrebbe uccidere i sogni di Neymar e Coutinho.

Non ci si annoia. Il clima aiuta, la qualità dei singoli sta uscendo, magari il livello assoluto non è eccelso, e certi scarti tipo Russia-Arabia Saudita 5-0, Belgio-Tunisia 5-2 e Inghilterra-Panama 6-1 sono tasse da pagare alla democrazia. Restano partite generalmente combattute. Tra le eccezioni, Polonia-Colombia 0-3. Che delusione, i polacchi. Dalle uscite di Szczesny (o in anticipo o in ritardo) alla modestia della difesa e del centrocampo, nonostante gli Zielinski e compagnia cantante. Morale: Lewandowski isolato e un giropalla di imbarazzante sciatteria. Eppure Nawalka era arrivato in Russia con ambizioni tali che avevano indotto in tentazione persino il presidente Boniek.

La Colombia di Pekerman aveva perso contro il Giappone (anche) per il rosso-lampo a Carlos Sanchez. Alla Polonia non ha lasciato che un quarto d’ora di popolarità. L’incornata del pivot Mina, la regia di James Rodriguez, i gol di Falcao e Cuadrado. Eccoli: James (a tutto campo, e tutti allegri o Allegri, fate voi), Falcao – nove di lotta e, sotto porta, di governo – Cuadrado, capace di fare di ogni erba una «fascia». E poi Ospina: perché sì, hanno pure il portiere, loro. Tutto ciò premesso e celebrato, resta un piccolo dettaglio: battere il Senegal.

«Varum»?

Roberto Beccantini23 giugno 2018

Non muoiono mai, i tedeschi, figuriamoci se li si aiuta pure. Ha cominciato Marciniak, rigore negato a Berg e rosso risparmiato a Boateng già al 12’. E la Var? La sudditanza psicologica resiste e persiste, purtroppo. Detto dell’arbitro, diciamo della Svezia: una mano gliel’ha data anche lei, soprattutto alla fine, prima che Kroos, miccia distratta del lob di Toivonen, calibrasse l’arcobaleno del sorpasso. Con il tesoretto del pareggio e il tesorone dell’uomo in più (espulso Boateng all’82’ per cumulo: scelta corretta, iter laboriosissimo), si è smarrita come un piccolo scout nel bosco, un po’ stanca, un po’ indecisa sul modo in cui spendere le ultime gocce di catenaccio. E quel Guidetti: perché telefonare in porta invece di sdraiarsi sul pallone?

E così la Germania, che si era presa quasi tutta la partita, stava per lasciare sul campo il risultato. Esclusi Hummels e Khedira, Loew ha azzeccato l’innesto di Reus, autore del pareggio, e l’ingresso di Gomez che, con Werner all’ala, ha dato più peso a un attacco che, fin lì, aveva prodotto solo mischie, solo carambole. Ho trovato preziosi, come già con il Messico, gli spiccioli di Brandts (per il palo e la birra).

L’Ikea di Andersson la conosciamo bene. Ci eliminò con un autogol e lo stesso muro di Sochi. Le colonne sono state Grandqvist, Ekdal e, fino al dardo fatale (e probabilmente parabile), Olsen. A proposito di portieri: se la Germania è uscita viva dal primo tempo, lo deve anche a Neuer, cruciale sull zuccata di Berg.

La sentenza libera i campioni del Mondo verso gli ottavi (con tutto il rispetto per la Corea del Sud) e condanna gli svedesi allo «spareggio» con il Messico: non proprio due tappe con le stesse montagne. Se la Svezia è sempre questa, un catenaccione semovente, la Germania non è ancora quella. Troppo squilibrata, troppo macchinosa. Però l’ha sfangata. Però respira. E allora, occhio.