Quanto Costa

Roberto Beccantini5 maggio 2018

Si sapeva che la Juventus fosse in riserva. Si era fatta imprigionare dal Napoli e aveva sofferto persino l’Inter in dieci. Non si sapeva, viceversa, che Buffon e Allegri le avrebbero tolto anche quella poca benzina che aveva. Buffon, con un erroraccio che propiziava il rigore di Rugani su Crisetig, poi trasformato da Verdi (a proposito: nemmeno 3’20″ di Var sono riusciti a cambiare il giallo in rosso, come Irrati avrebbe dovuto, Irrati dopo Orsato; fuoco alle polveri). Allegri, «arrestando» Douglas Costa per un tempo.

In Italia, con la Signora, gli dei sono meno schizzinosi che in Europa. E allora: dall’autogol di Skriniar su cross di Cuadrado all’autorete di De Maio su cross di Cuadrado. Dopodiché, Douglas Costa. Le sue sgommate, le sue scintille, le sue rabone. L’hombre del partido, come già contro la Sampdoria. Assist a Khedira, la cui spintarella a Keita pareggia quella-da-rigore-più-rosso di Keita a Cuadrado in avvio di ripresa. Assist a Dybala. Sul secondo gol, va registrata la complicità di Mirante, fin lì – con Verdi – uno dei migliori.

Il Bologna di Donadoni ha fatto la sua partita e, sull’uno pari, aveva addirittura colpito un palo con Kraft. Non c’era la Juventus, in campo. C’era una squadra che credeva di esserlo. Gli avversari, tosti, non ci sono cascati. Fino, almeno, alla staffetta tra Matuidi, pasticcione, e Douglas Costa, letale. Vi raccomando la formazione di Allegri: Asamoah centrale di sinistra, Alex Sandro ala, Barzagli nel cuore del fortino: un biglietto della lotteria.

Marchisio ha acceso piccoli falò, Higuain pensa al Mondiale, al lavoro sporco che, per essere titolare, dovrà dedicare a Messi e allora accetta di vivere di briciole. Dybala, lui, giochicchiava tra le linee, senza arte né parte. Il gol è stato un attimo: bello, ma isolato. Che è poi il riassunto del Dybala attuale.

Tu chiamale, se vuoi, emozioni

Roberto Beccantini2 maggio 2018

Ad Anfield 5-2, all’Olimpico 2-4. Morale: 13 gol in due partite, Liverpool in finale e Roma a testa alta. La Roma ha dato il massimo. il Liverpool ha ricavato il massimo dall’oretta di martedì scorso, quando il «due con» (Salah, Mané più Firmino) giocò uno straordinario calcio «parziale», il calcio che, palla al piede, esalta Klopp: palla agli altri, lasciamo perdere.

Dall’erroraccio di Nainggolan alla doppietta di Nainggolan, ci sono stati la zampata di Mané, l’autogollonzo di Milner, la capocciata di Wijnaldum imbeccato da Dzeko, il palo di El Shaarawy, il gol di Dzeko. Secondo i puristi, un altro sport. Ma la Champions è anche questa, assalti all’arma bianca, ingorghi esilaranti, cuore e stampelle oltre l’ostacolo.

Dal mani-comio di Marcelo a quello di Alexander-Arnold. Ecco: la sua parata sì, sarebbe stata da rigore, molto più di quello poi concesso agli sgoccioli per il braccino di Klavan. Senza Var, non c’è santo che tenga. Ad Anfield il terzo gol dei Reds era in fuorigioco (come invece non lo era Dzeko, a tu per tu con Karius) e quando il totale è 7-6 le pagliuzze diventano travi. Si cambi pure il sarto (Collina), ma ho paura che non basti: sull’uso delle braccia la spinta innocentista arriva soprattutto da Boban.

Rimontato il Barcellona di Messi, Di Francesco stava per ribaltare il Liverpool. La sua Roma vive di sprazzi, di emozionanti vertigini, più da Europa che da campionato. Dzeko ed El Shaarawy sono stati i più efficaci, anche se non così devastanti come il Salah dell’andata. L’egiziano si è consegnato al fuorgioco di Manolas e Fazio. La Roma ha spinto molto a sinistra, ha avuto poco da Schick e Florenzi, ha reagito alla tensione capace di contagiare persino guerrieri come Radja.

Il Liverpool è una grande mezza squadra. A Kiev si misurerà con il Real Madrid. Nel 1981, a Parigi, lo fregò sul più bello.

Il portiere di notte

Roberto Beccantini1 maggio 2018

In attesa di conoscere come il sindaco di Monaco di Baviera chioserà il mani-comio di Marcelo e i due contatti fra Sergio Ramos e Lewandowski, anche in base alla documentazione sul corpo a corpo Benatia-Lucas Vazquez che gli fornirà il sindaco di Torino, in finale, la terza consecutiva, ci va la squadra cha fra andata e ritorno ha segnato di più, non la squadra che meritava di più. Questa è la mia opinione, e «le opinioni sono come il sedere. Tutti ne abbiamo uno, ma non è detto che interessi agli altri».

Real, dunque. E Bayern sempre lì, a masticare polvere e rabbia. A me la partita è piaciuta. Per il ritmo e per il rapporto velocità-precisione. I gol di Kimmich non fanno più notizia. Quelli di Benzema, invece sì: il primo glielo ha offerto Marcelo; il secondo, regalato Ulreich. Il pareggio di James Rodriguez aveva reso ancora più spasmodici gli sgoccioli dell’ordalia, ma è entrato Casemiro (che avrei schierato dall’inizio) e il catenaccio di Zizou ha tenuto.

Già in ombra mercoledì scorso, Cristiano si era mangiato il 3-1. Del Bayern – privo di Neuer, Boateng, Vidal e Robben – ho apprezzato Kimmich, Tolisso, Ribéry, abbastanza James. Del Real, colui che fu il peggiore contro la Juventus: Keylor Navas. Di ribaltone in ribaltone, le squadre si sono allungate. Heynckes è uno degli allenatori più sottovalutati; Zizou, uno dei più «illusionisti»: capaci, cioè, di nascondere la fortuna sotto la grandezza (e non viceversa, come fanno molti). E i moduli? Elastici. Per servire, servono, ma ricordatevi sempre il motto di Liedholm: «Provati in partita, gli schemi riescono perfettamente in allenamento».

Cos’altro aggiungere? Che il Bernabeu in un’area è una chiesa e nell’altra un bordello. E che la paperissima del vice Neuer ribadisce quanto sia prezioso il mestiere di portiere di notte.