Con la sosta in palio

Roberto Beccantini22 gennaio 2018

L’ingresso di Barzagli e i campanili di Chiellini sono stati il segnale: la Juventus non ne aveva più. Aveva sbloccato presto il risultato lungo l’asse Mandzukic-Douglas Costa; aveva sparacchiato molto dal limite e impegnato qui e là Perin (nulla di eroico, parò), salvo ripiegarsi su sé stessa fino a offrire campo al Genoa. Campo: non occasioni. Perché Davide (Ballardini) non è Golia e neppure l’innesto di Galabinov, Lazovic e Lapadula poteva forzare il destino.

Dicono che dopo le vacanze a Vinovo abbiano lavorato sodo. E per questo le gambe fossero imballate. Poi i divieti di sosta: male con la Lazio, alla ripresa, e male con la Sampdoria. Massima allerta, dunque. E’ stata una partita aspra e brutta, che i «risultatisti» molto temevano. Il Genoa è il Genoa, ma nelle ultime quattro trasferte non aveva preso gol. Ha chiuso i boccaporti, ha atteso per un tempo e poi si è buttato sulla lotteria degli episodi: qualche mischia, zero parate di Szczesny.

In tribuna c’era Sampaoli, il ct dell’Argentina. Se cerca un centravanti-sherpa che faccia spazio a Messi, l’ha trovato. Se viceversa cerca un centravanti vero, bè, a Manchester c’è di meglio. Nella speranza che i lettori più raffinati apprezzino l’ironia, si può dire che l’alfabetizzazione di Allegri procede: da un anno, Mandzukic fa il Pogba a sinistra; Higuain, che non segna da Napoli, porta bombole d’ossigeno a tutta la cordata; Douglas Costa comincia a coprire tutta la fascia, ora ala ora terzino, il «guaio» è che ogni tanto gli scappa qualche gol.

Scherzo, naturalmente. Era una tappa pianeggiante con chiodi sparsi sull’asfalto. Averli schivati, con la curva non meno chiusa della difesa, non è da poco. Napoli 54, Juventus 53: tutti gli altri campionati sono già finiti, il nostro deve ancora cominciare.

Atti di fede

Roberto Beccantini21 gennaio 2018

Un paziente di Napoli (sottolineo: di Napoli) mi chiede: che differenza c’è tra il gol di Mertens a Bergamo e il gol di Cacciatore in Chievo-Udinese pre-sosta? Il primo convalidato nonostante un mezzo piede in fuorigioco, il secondo annullato per un mezzo piede in fuorigioco.

La domanda coinvolge gli atti di fede che, al di là della parallasse, delle linee tracciate o tracciabili, dell’attesa spasmodica della tridimensionalità e, più terra terra, dei confini del tifo, talvolta prendono in ostaggio la Var sulla «vexata quaestio» del fuorigiochicidio.

Se pensiamo al calcio degli assistenti, Atalanta-Napoli sarebbe potuta finire 0-0 o 0-2 (c’è anche il gol di Hamsik, di una scapola «oltre»), e tutti o quasi l’avrebbero accettato. Viceversa, con il calcio dell’alta velocità (tecnologica), capisco le perplessità dei Gasperini (e dei Maran) di turno.

Cosa si può fare? Finché non arriveremo alla perfezione degli strumenti, bisogna evitare che, appunto, siano gli atti di fede a giustificare la correttezza delle decisioni. E allora rilancio una vecchia proposta: ripristinare il concetto di luce tra ultimo difendente, portiere escluso, e attaccante. Dopodiché: tutto buono (dal piede al naso, dall’alluce al gluteo in offside) o tutto no. Personalmente, sponsorizzo la prima: tutto buono.

Come temevo, sono state consegnate alla moviola in campo sacche di regolamento troppo ambigue per non alimentare il cicaleccio da bar sport. Mani-comio, furigiochicidio: sarebbero servite norme più asciutte, più chiare. Anche perché, con la Var, le pretese si sono alzate e l’esigenza generale è cresciuta. Non ci si accontenta più della realtà, si pretende la verità.

Il campanile non c’entra, o almeno non c’entra in questa piccola analisi. C’entra la volontà di uscirne tutti insieme.

Come ai vecchi tempi

Roberto Beccantini6 gennaio 2018

Come ai vecchi tempi, quando le moviole si buttavano sugli episodi e li straziavano. Al San Paolo, Verona furibondo per il gol «con aiutino» di Koulibaly. Alla Sardegna Arena, Cagliari imbestialito per la gomitata di Benatia a Pavoletti a monte del gol di Bernardeschi (Calvarese, pessimo, aveva assegnato la norma del vantaggio e nessuno si era fermato, nemmeno Sau) e per un braccio randagio dello stesso Bernardeschi (vedi alla voce «petto» di Mertens a Crotone).

Il Cagliari di Lopez avrebbe meritato almeno il pari. La partita, molto fisica, si allungava da una metà campo all’altra, scolpita dai corpo a corpo tra Romagna e Matuidi. Sembrava tutto facile. La traversa di Dybala su punizione, il palo di Bernardeschi. La Juventus di Bologna, più o meno. Solo che il Cagliari non era il Bologna, «quel» Bologna. Recuperava terreno, prendeva coraggio, Pavoletti e Farias costringevano Szczesny a un paio di miracoli (sul secondo, complice il palo). La regia di Cigarini, gli arrembaggi di Barella e Ionita spremevano i campioni.

Non calava, il Cagliari. Fletteva, viceversa, Madama. Gli infortuni di Dybala e Khedira portavano a un ribaltone tattico. L’intreccio si consegnava, spasmodico, alla lotteria degli episodi, che Allegri si aggiudicava con i «biglietti» di Douglas Costa (suo l’assist del gol) e Mandzukic.

Resta la polvere da sparo di un risultato che, «ignorato» dalla Var, ha moltiplicato la voglia di Var. Il mani-comio è uno dei nervi più scoperti. Il Cagliari era già rimasto scottato a Roma, dal gol di Fazio, tradotto e confermato al video da Damato. Zenga, da Crotone, si era scagliato contro l’enormità dei pettorali di Mertens. Riecco, improvvisa, la sudditanza psicologica. Ne avevano certificato la scomparsa per consunzione. E invece no, è sempre lì a portata di mano (naturalmente).