Da una lacrima sul viso (e sull’ego)…

Roberto Beccantini2 luglio 2024

Perché a un certo punto ci dimentichiamo di tutto, di tutti e – amatori o odiatori – ci mettiamo lì a pregare, a gufare? Perché il calcio è così. Un’Iliade di 120 minuti, un’Odissea di rigori, con Cristiano Ronaldo che da Achille diventa Ettore e poi torna Achille, al diavolo i 39 anni e i talloni. Ai quarti va, così, il Portogallo, domatore solo al tiebreak di una Slovenia che, senza essere stata Pogacar, gli ha tenuto testa fino all’ultimo tuffo di Diogo Costa, l’eroe nascosto da Omero, fino all’ultimo sibilo di Orsato.

Zero a zero e poi, d’improvviso, tre a zero. Che notte, la notte di Francoforte. Prigionieri dell’ego di Cristiano, e Cristiano prigioniero del suo ego. Le punizioni? le tiro io; di testa? ci vado io; il penalty nei supplementari? a me la palla, please. Il balzo di Oblak, e il rimbalzo sul palo, esulavano dal copione. Possibile? Ma certo. E allora vai di lacrima – lui in campo, la mamma in tribuna – con i compagni che, nel ricordo delle strenne antiche, cercavano, tutti intorno, di incollarne il morale, di raccoglierne l’orgoglio sanguinante. Ostaggi di un marziano: ma spesso, ai suoi bei dì, felici di non evadere.

Intanto, la partita continuava. E Benjamin Sesko, 21 anni, si mangiava un «rigore» in movimento, quasi uno shot-out Usa e getta, non meno portentoso, non meno clamoroso. La porta, gliel’aveva spalancata Pepe (41 anni), nell’unico attimo in cui l’età ne aveva preso a calci la malizia, e chiusa, al culmine di una cavalcata da film western, l’intruso alla sparatoria. Diogo Costa.

Il Portogallo di Martinez, padrone monotono della trama. La Slovenia di Kek, arroccata ma pavida no, mai. Le bollicine di Cancelo, le sportellate di Bijol. Coriandoli di una vita fa. La coda dei penalty ha ristabilito le gerarchie
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La ditta e la rossa

Roberto Beccantini30 giugno 2024

Sarebbe stato storico, l’1-0 della Slovacchia di Francesco Calzona, artigiano calabrese e terzo staffettista dell’ultimo Napoli. Il gol di Schranz, le barricate di Lobotka, Duda e Kucka. Gli inglesi di una monotonia asfissiante, un palo di Rice e cieli di fumo. Al minuto 95, viceversa, tutti e tutto – la modestia di Southgate, quell’incedere bolso, il catenaccione dei rivali – si sono inchinati «al» gesto. Che non è schema: è anatomia di un istante, ribellione allo status quo. La rovesciata di Bellingham, fin lì moschettiere confuso. Sull’onda, in avvio dei supplementari, ecco l’incornata di Kane, fin lì più pecora che pastore. E così 2-1, per l’England.

I cambi, da Palmer in giù, hanno portato energie ai leoncini. Non altrettanto, quelli di Calzona, beffato agli sgoccioli degli sgoccioli quando la cronaca stava per inginocchiarsi alla sentenza. Non ha vinto chi ha giocato meglio, a Gelsenkirchen: se mai, chi ha attaccato di più. Ha vinto la classe. Merce rara, ma sempre degna di menzione. Bellingham alla Serbia, Kane alla Danimarca; Bellingham e Kane agli slovacchi: è la ditta che tiene su la baracca.

**A Colonia, Spagna-Georgia 4-1 (Le Normand autorete, Rodri, Fabian Ruiz, Nico Williams, Olmo). Alzi la mano chi non ha tifato per le barbe di Tbilisi. Al harakiri di Le Normand, disturbato da quel guerriero di Kvara, tutti dietro con Mamardashvili, Mikautadze e gli opliti di Sagnol. Alla fine, tutti in piedi per le Furie, perché tali sono state. Hanno subito lo 0-1 con il fastidio di un automobilista al quale, a un semaforo, fanno le corna. Dopodiché: Rodri dal limite, Fabian Ruiz di testa su crossettino di Yamal, Nico di contropiede (sì, ogni tanto la trama fa le capriole) e Dani Olmo di bisturi. Quattro partite, quattro vittorie. E ora, nei quarti, i crucchi. Kroos o Rodri: vamos.

La grande bruttezza

Roberto Beccantini29 giugno 2024

Il problema è che Allegri ha un alibi. In caso contrario… Scherzi a parte. Il problema non è Svizzera due Italia zero. Certo, è anche questo: perché erano gli ottavi e noi si torna, giustissimamente, a casa. Il problema, ecco, è il modo che ancor ci offende. Dominati per un tempo, tra il «solito» Donnarumma (su Embolo), il gol di Freuler e un legno randagio; subito trafitti dal «giro» delpieresco di Vargas e poi controllati come fanno le nonne con i nipotini ai giardini nell’altro.

E non che Yakin fosse il Pep e Luscianone il primo che passa. Ci è mancato tutto: coraggio, gambe. Xhaka (voto 9) sembrava un concentrato di don Alfredo (Di Stefano) e De Bruyne. L’Abate di Certaldo aveva sventrato la formazione, inserito Fagiolino, addirittura, e non che abbia fatto peggio di Jorginho, onestamente. Barella, colpito subito, si accontentava di una normalità che difficilmente gli si riconosce. Loro, cazzuti e illuministi; noi, molli e oscurantisti.

Credevo che fosse impossibile giocare peggio che con Spagna e Croazia: mi sbagliavo. Quando dai troppa importanza al tecnico, e poco ai giocatori, può succedere che i giocatori ci marcino, tanto sanno già quale testa rotolerà. Ci si aggrappa alla difesa a tre sbandierata se non in casi d’emergenza; ci si attacca al tram delle differenze tra Nazionale e club (per esempio, Scamacca), ma questa è un’aggravante, a carico del singolo, non un’attenuante (pro Gasp, mica ne ha bisogno).

Un autopalo di Shaar e uno di Scamacca, tutto qui la Nazionale di una Berlino che baciò l’azzurro di Buffon e Cannavaro, di Totti e Del Piero. Eccetera eccetera sino alle magie di Grosso.

Il mio pronostico era: 51%-49% per l’Italia. A patto di essere audaci. Invece no. Pavidi e sgonfi. Più suonati di Biden. Sommer, non una parata. Eravamo i campioni d’Europa. Nessuna obiezione, vostro onore.