Non ho mai creduto nel calcio d’agosto, eppure avevo pronosticato Lazio-Milan 1-2. E’ finita 4-1. Hanno stravinto le ricette della «nonna». Sommare punte non significa attaccare meglio: sul tema, il Ventura del Bernabeu potrebbe scrivere un libro (per carità , dipende anche dagli avversari). Simone Inzaghi ne aveva una, di punte: Immobile. Ha ricavato tre gol. La Lazio era una squadra collaudata, con un suo equilibrio. Il Milan, una squadra rifondata dal e sul mercato, con i suoi misteri. Mi ero permesso di sdottorare che avrebbe deciso la panchina di Montella, molto più «lunga». Modestamente, non ci ho preso manco qui.
Le sconfitte aiutano a crescere più di certe vittorie, e questa (sconfitta) molto dovrebbe aver insegnato ai padroni cinesi. Le vendemmie estive fanno bene agli abbonamenti, ma possono anche gonfiare i valori netti del giocatori, e dunque del gioco.
Nella Lazio sono stati determinanti Milinkovic-Savic e Luis Alberto: troppo arretrati in avvio, poi sempre al posto giusto nel momento giusto. Nel Milan non lo è stato nessuno. Nemmeno Bonucci. Del quale rimpiango i lanci, le aperture, più che le chiusure. Bonucci non è un fuoriclasse. E se è diventato leader, lo deve al castello che la Juventus gli costruì attorno, e lui contribuì a rendere una cartolina.
La Lazio mi spiazza sempre. In discussione erano la personalità , ballerina, e la rosa: non il telaio, e tanto meno l’allenatore. Gli ultimi derby di coppa e la Supercoppa strappata alla Juventus ne hanno consolidato le certezze, che non erano poche ma erano fragili. Sarà la continuità a fissare i nuovi confini.
Il Milan è stato l’idea lenta di Biglia, il «museo» del centrocampo alla mercé di troppi turisti. Aggiungetevi un tocco di presunzione, quella Lazio così mobile e Immobile e lo scarto vi sembrerà la cosa più naturale del mondo.