Insigne, che combinazione…

Roberto Beccantini18 novembre 2017

Provate a immaginare lo sbalordimento di Insigne nel passare, in così pochi giorni, dalla panchina di San Siro al Borini terzino del San Paolo. La partita si è decisa lì, sul centro-sinistra del Napoli (il centro-destra del Milan). E l’ha decisa, naturalmente, lui. Un gol – molto verticale, fra parentesi – e un palo.

Di sicuro, è stato un limite di Ventura non apparecchiargli il 4-3-3 contro la Svezia, ma non vorrei che diventasse un limite del giocatore saper stare a tavola solo «in» quel modulo. Alla storia l’ardua sentenza. Le roulette non finiscono mai: al ct andò male l’avanti tutta del Bernabeu, a Montella proprio bene non è andata l’idea del Borini «basso».

Non un gran Napoli, a leggerlo attraverso il vocabolario di Sarri, ma capace, ormai, di domare la stanchezza mentale che qui e là lo zavorra. Non è un dettaglio da poco. Sul Milan sentirete la solita omelia: mica male, come «giuoco», soprattutto nel secondo tempo. Ma poi, all’atto pratico: palle-gol, zero; e tiri veri, uno (la lecca di Romagnoli agli sgoccioli degli sgoccioli).

Il raddoppio di Zielinski in simil-contropiede era nell’aria anche perché al «giuoco» del Diavolo mancava l’ultimo passaggio.

E il derby di Roma? Molto inglese, specialmente nella ripresa. Lo hanno orientato, a mio avviso, 1) gli errori di Bastos, invidioso del Wallace che spalancò la porta a Strootman; 2) il contributo di Kolarov, uno dei migliori acquisti nel rapporto qualità/prezzo; 3) le condizioni di Nainggolan e Immobile. Venivano da acciacchi assortiti: devastante il belga, così così Ciro, penalty della staffa a parte.

Quando vincono le squadre che più l’hanno meritato, niente da dire. E se la Var, sia a Roma sia a Napoli, corregge gli errori si brinda in tutti i Bar Sport. Vero?

Tavecchio chi molla

Roberto Beccantini15 novembre 2017

In un Paese normale, come diceva Tardelli, a un tipo come Carlo Tavecchio avrebbero inibito persino lo stadio. Da noi può fare il presidente della Federazione e sopravvivere, addirittura, a un fiasco epocale come la seconda eliminazione sul campo dai Mondiali (a 60 anni dalla prima). Muoia Ventura con tutti i piagnistei. E così fu. Niente dimissioni, naturalmente: esonerato. No Tav-Sì Tav è invece sempre lì.

Mi meraviglio di chi si meraviglia (sempre meno, spero). Tavecchio, 74 anni, fu eletto nel 2014 dal «Ca.Ga.Lo» (Carraro, Galliani, Lotito), una triade seconda a nessun’altra. E poi, di grazia: dove lo trova, Agnelli, un presidente federale che non fiata sulla storia dei 400 e rotti milioni di risarcimento calciopolesco nonostante tutte le sentenze, sportive e non, abbiano dato torto alla Juventus e ragione alla Federazione?

E Lotito, già che siamo in tema, dove lo trova un capo che di fronte all’infamia degli adesivi di Anna Frank con la maglia romanista non alza la voce e fa finta di niente anche di fronte alla libertà di trasloco degli ultras da curva a curva? Per tacere di Pecoraro, «homo lotitianus», scortato niente meno che al vertice della procura.

Sono tutti, o quasi, pappa e ciccia, con il concorso esterno in associazione maliziosa di noi giornalisti, salvo rare eccezioni. Per carità, Tavecchio non gioca e con i nostri guai sul campo c’entra solo di striscio, c’entra solo per aver scelto Ventura. Gli è andata male. Con Conte gli era andata meglio, ma cosa «c’azzecca» il fatto tecnico con il fatto politico? Dicono: Tavecchio ha portato la Var. E allora? resta quello delle gaffe razziste, della riforma delle 18 squadre millantata e abbandonata, dei misteriosi centri federali.

Però non si schioda. Non lo schiodano. Non piace. Fa comodo.

Chiusi per fallimento

Roberto Beccantini13 novembre 2017

Siamo fuori dal Mondiale per la seconda volta sul campo, la prima fu nel 1958, a Belfast, e gli arbitri non c’entrano. Siamo fuori, noi quindicesimi nella classifica Fifa, per mano (e catenaccio) di una Svezia che è venticinquesima. Siamo fuori per episodi, certo, ma non solo: siamo fuori perché in due partite non abbiamo segnato lo straccio di un gol.

Il palo di Darmian, a Stoccolma, raggiunge in archivio il palo di Rizzitelli a Mosca, lo 0-0 che segnò la notte di Vicini e l’alba di Sacchi. Per comodità del lettore: fuori al primo turno nei Mondiali 2010 con Lippi e ai Mondiali 2014 con Prandelli. Secondi in Europa con Prandelli nel 2012 e fuori nei quarti, con Conte, l’anno scorso. E’ la fine – amara, brutta – di un ciclo. Ma meritata da tutti. Da Tavecchio, che si bea di aver telefonato a Infantino dopo le gomitate di Stoccolma. Da Ventura, che non è riuscito a far squadra nel periodo cruciale. Non dico che Insigne sia un fuoriclasse – non ancora, almeno – ma rinunciarvi in maniera così ostinata mi è parso un «abuso» di potere, tanto per impiegare un termine alla moda. E pure dai giocatori, gonfiati spesso dal silicone di noi giornalisti.

La chiave è stata Madrid. Quel 3-0 della Spagna, quel 4-2-4 che avrebbe indignato Brera e invece titillò molte redazioni. Il sole non ci sembrava così lontano, ma le nostre ali erano di cera. Ecco: da quella sera, Ventura ha perso il controllo e nessuno, dall’interno o dall’esterno, è stato capace di fornirgli un filo, uno qualsiasi, per aiutarlo a uscire dal labirinto.

Il ct è andato a fondo con la «sua» Bbc. Da oggi cominciano i processi. Al calcio italiano. Ai dirigenti italiani. A Ventura, che pagherà per tutti, o comunque prima di tutti.

Zero gol alla Svezia in due partite: al netto degli stranieri, questi siamo. Nella speranza che sia solo colpa del ct. E di Tavecchio.