Divieto di testa

Roberto Beccantini1 novembre 2017

Nella notte in cui si celebrava la sfilata del gioco, è bastata l’uscita di una pedina, Ghoulam, perché la partita prendesse un altro indirizzo, non così poetico. Fin lì, il Napoli di Sarri aveva dominato. Grandi ondate, gran gol di Insigne, dopo uno-due con Mertens, pressing alto e, almeno al San Paolo, la sinistra al potere (Ghoulam-Insigne).

Ecco: uscito il terzino franco-algerino, siamo tornati di botto a Napoli-Real. Testa di Otamendi, pareggio. Testa di Stones, sorpasso. Ricordate Sergio Ramos? Siamo lì. Partita croccante, soprattutto per un tempo. Coraggio contro coraggio. Piano piano, la qualità del City ha scavato il risultato. Detto di una traversa per parte (Stones, Insigne) e del pareggio di Jorginho su rigore, a conferma di una vitalità mai doma, il risultato è saltato per aria tra la paratona di Ederson su Callejon e il contropiede da area ad area della ditta Sané-Aguero. Un altro contropiede, da Sterling ovation, fissava il tabellino: 2-4.

Hanno vinto i più forti, punto. Sarri se l’è giocata come sa, a petto in fuori. Ha pagato il k.o. di Ghoulam, la vena un po’ sfiorita di Hamsik e Allan, le titubanze di Koulibaly e Albiol sulle cosiddette palle inattive. Il calcio di Guardiola è, oggi, più verticale; e quel De Bruyne, una mezzala completa. Dal cilindro della panchina, Sarri ha estratto Maggio, Rog e Ounas. Pep, in compenso, ha sdoganato David Silva, Bernardo Silva e Gabriel Jesus. Tu chiamale, se vuoi, sostituzioni.

Adesso la Champions del Napoli è appesa a pochi fili. Il grande rimpianto resta la sconfitta in Ucraina, non le due contro la squadra che, probabilmente, alzerà il trofeo. Avrebbe potuto fare di più, stasera? Meglio ancora: in onore dell’avversario, per una volta, avrebbe dovuto mimetizzarsi, avrebbe dovuto essere più gestore? Il Napoli è questo, nel bello e nel male.

Scherzetto

Roberto Beccantini31 ottobre 2017

Altro che la frenesia di Halloween. Altro che le emozioni da vigilia di compleanno. Come se la Juventus fosse andata a letto presto: già sbadigliava prima del gol di Bruno Cesar, su iniziativa di Gelson Martins, «bevuta» di Chiellini e respinta troppo dolce di Buffon, non vi dico dopo. La sconfitta avrebbe aperto un baratro; il pareggio, invece, tiene viva la Champions.

Jesus rendeva ad Allegri la difesa (Piccini, Mathieu, Fabio Coentrao) più William Carvalho. Mezza squadra. Lo Sporting ha giocato con umiltà, catenaccio mobile e pressione su Pjanic, su Dybala, su Higuain.

La Juventus era lenta, distratta, imprecisa. Un disastro, a sinistra, Alex Sandro e Mandzukic, peggiori per distacco. Non molto di più, a destra, De Sciglio e Cuadrado. E Khedira? Sempre al posto giusto nel momento giusto ma nel modo sbagliato. L’usato sicuro non funzionava. Agli avversari bastava far girare la palla e, ogni tanto, avanzare in branco per lasciare le belle gioie in fuorigioco.

Nessuna eco degli spari di Higuain, nessuna traccia delle giocate esplosive di San Siro. Eppure, alla vigilia, avevano parlato tutti della partita della svolta. Invece no. Invece niente. Colpa dei dipendenti o colpa del capo? Non credo che Allegri volesse questo, ma questo ha avuto, questo gli hanno dato. E comunque, almeno stavolta: più colpa dei piedi che dell’idea.

Voce di popolo: guarda che all’Alvalade il Barcellona ha vinto su autogol e la Juventus bene o male ha poi pareggiato, con Higuain servito da Cuadrado terzino d’emergenza. Higuain che, di testa, aveva già sfiorato il gol. Certo. Alla ripresa, in effetti, Madama è scesa dal letto e ha cominciato a girare attorno a uno Sporting sempre più blindato (e comunque pericoloso in contropiede).

Caro popolo: e allora?

Scusate il ritardo

Roberto Beccantini28 ottobre 2017

Che ressa, attorno al carro. Non è più grasso, non è più isterico, non è più. Escluso dall’Argentina, ai margini della Juventus. Un pacco da 90 milioni. Gonzalo Higuain si è preso San Siro con due gol splendidi nella genesi e negli spari, quella non meno preziosa di questi. Introdotti dai tocchi e i veli di Dybala, i suoi destri sono stati chiodi che hanno bucato il palloncino di Montella, un Milan che per un tempo si era battuto a testa alta, sfiorando il pareggio con Kalinic, negato dalla premiata ditta Buffon & traversa.

Allegri aveva studiato una gabbia per Suso (Asamoah, ma non solo) e, zitto zitto, ricaricato il Pipita. Cruciale a Udine, a segno con la Spal, dominante al Meazza. Chiellini dietro, Pjanic in mezzo, Higuain davanti: ecco i confini.

Veniva, il Milan, dal rotondo 4-1 di Verona-Chievo. Una scintilla. E’ il primo confronto diretto che Madama si aggiudica, ancorché la grandezza attuale del Diavolo sia storia, non classifica. Sono state modiche le «disconnessioni», questa volta. E sul piano della manovra – per metà gara, almeno – non c’è poi stata tutta ‘sta differenza. La differenza l’hanno fatta i singoli, con buona pace degli scienziati.

Non c’era Bonucci, e dal momento che era mancato pure al Bentegodi, dove gli «orfani» avevano banchettato, vi lascio immaginare le strizzate d’occhio: meglio senza. Ah, les italiens. Non è stata un’ordalia da tramandare ai posti: lenta, confusa. Da ricordare, se mai, c’è il «nuovo» Higuain, centravanti totale. Non vado oltre, anche se scendere dal carro non sarà mai un problema.

Mi aspettavo più bollicine, dall’attacco del Milan. Il fatto che la difesa juventina non abbia beccato nemmeno un gol è una notizia che in passato avrebbe prodotto sbadigli. Oggi no, oggi è argomento di meditazione, addirittura.