Il carro attrezzi

Roberto Beccantini9 settembre 2017

Maran è un artigiano che addobba la sua bottega anche di idee (Birsa, per esempio) e non solo di forza bruta. Può piegarsi, ma è difficile che si spezzi. La Juventus di scorta ne ha patito i movimenti, le intenzioni. Con il Barcellona alle porte, Allegri aveva liberato un po’ di mercato: Szczesny, Matuidi, Douglas Costa. L’abuso di retropassaggi non è dipeso da loro: è dipeso, se mai, dall’assenza di un radar alternativo a Pjanic (positivo). C’era Bonucci (al di là delle «bonucciate»), non c’è più.

Faticavano, i campioni, a sfruttare i contropiede che, ogni tanto, il Chievo concedeva. Asamoah ha smarrito il timing di un tempo, Sturaro lavorava come sa, Douglas Costa era timido, poco servito e poco servizievole: i battesimi, a volte, non sono mica tutti cin-cin. Higuain, lui, cercava munizioni (e Dybala, forse).

Matuidi faceva legna, un mestiere prezioso che non altera però l’estetica delle trame. Quando si scivola da uno schema all’altro (nel nostro caso, dal 4-2-3-1 al 4-3-3) si corre il rischio di commettere in partita, e pagarli, errori che in allenamento non paghi.

L’autogol di Hetemaj sembrava la carezza che il destino, cinico e caro, riserva spesso ai forti. Pjanic, al quale si deve la gittata della punizione, rifiniva un po’ qui e un po’ là, in una nuvola di sbadigli. Al Chievo mancava un attaccante. Alla Juventus, la storica Bbbc. Non male Benatia, comunque: un altro che comincia per b.

Stavano dominando, gli ospiti, quando Allegri ha tolto Douglas Costa e chiamato il carro attrezzi. Subito sul posto, subito a suo agio, lesto a capire perché il motore non cantava più. Morale: il gol di Higuain (dopo un «rimorchio» non banale), sgommate assortite per fendere la calca e arrivare in fretta in officina e il gol, bello, del 3-0.

Firma in calce alla ricevuta: Paulo Omar Dybala.

Un cerottino

Roberto Beccantini5 settembre 2017

E’ bastato un colpetto d’acceleratore, ma proprio un colpetto, per immaginarci i bolidi che non sappiamo più essere. Da Spagna-Italia 3-0 a Italia-Israele 1-0 cambia poco sul piano del gioco, molto in chiave play off, visto che, complice l’1-1 di Macedonia-Albania, ormai ci siamo.

Prendiamolo come un cerotto su una ferita fresca e profonda, anche se poi, quando sorteggiarono i gironi, non uno che io ricordi collocò gli azzurri davanti alle furie. Certo, c’è modo e modo di perdere: e al Bernabeu abbiamo perso malissimo; e c’è modo e modo di giocare, cosa che in passato non poteva fregar di meno ma da Sacchi in poi ha cominciato a scuotere le coscienze (e le edicole).

Ancora e sempre 4-2-4, Ventura. E’ uno schema che coraggio e presunzione si palleggiano rinfacciandosi qualità dei giocatori e sensibilità del tecnico (ho detto sensibilità, non fissazione). Il tasso più modesto degli avversari ha alzato leggermente il livello della nostra manovra. Solo nel secondo tempo, però: il primo era stato un disastro senza un Isco a giustificarlo, e con un paio di brividi che avevano irriso persino i fanatici del possesso palla (71 per cento: contenti?). La sgrullata di Immobile ha evitato l’ennesimo plotone di esecuzione.

Se ti consegni a un modulo così zemaniano, la squadra deve restare corta e le ali sorreggere i centrocampisti. Nel dettaglio: Belotti e Immobile si sono più pestati che trovati, De Rossi e Verratti hanno trattato la palla come un bebè, passandosela con un affetto che limitava gli effetti; un po’ meglio Insigne (nel senso di più coinvolto); una piccola scossa, l’ingresso di Zappacosta.

Avremmo potuto anche raddoppiare, ma non è questo il punto. Il punto è che questi siamo e la speranza che sia tutta colpa del ct aiuta il nostro ego, non il nostro calcio.

Coraggio…

Roberto Beccantini2 settembre 2017

Il coraggio non è uno schema. E’ un’idea, uno stato d’animo, un atteggiamento. Spagna tre Italia zero ne è stata l’affascinante e brutale conferma. Affascinante, per come hanno giocato. Brutale, per come si millantava che avremmo giocato.

Quando vince il talento, tutti in piedi. Penso alla doppietta e ai numeri di Isco, alla sapienza di Iniesta, all’armonia di una manovra mai banale neppure nei momenti di stanca. E così Spagna quasi ai Mondiali e Italia quasi ai play off.

Si scende dal carro di Ventura con la disinvoltura di un popolo che non ha quasi mai chiuso un guerra con l’alleato con il quale l’aveva aperta. Chi scrive, aveva caldeggiato un più casto 3-4-3. L’infortunio di Chiellini ha buttato all’aria i piani. Il 4-2-4 del ct sembrava un inno all’ardimento, alla volontà di non essere schiavi nell’arena che, più di tutte, apprezza i padroni. E’ stato un suicidio. Perché non è la quantità a scolpire la differenza. E’ la qualità.

Noi, due centravanti veri e due ali. Loro, zero attaccanti di ruolo fino all’ingresso di Morata. Eppure non c’è stata partita, soprattutto a centrocampo, là dove lo schema si è rivelato un guscio, vuoto a sinistra (Spinazzola-Insigne) e un po’ meno a destra (Darmian-Candreva). Vi raccomando Verratti, al quale le attenuanti generiche non bastano per dissolvere la polvere che ha alzato. E Insigne? Con il Napoli, un gigante. In Nazionale, un nano. D’accordo, aveva di fronte quel Carvajal che ruberei al Real. Mettiamoci pure un Buffon non proprio irresistibile sulla traiettoria del primo gol di Isco: rimane la speranza che sia stata tutta colpa di Ventura e non degli spacciatori seriali di iperboli che continuano a infestare le edicole e i mercati.

A proposito: tra Under e Nazionale la Spagna ci ha inflitto un perentorio 6-0. Lo scrivo io, questa volta: coraggio.