Un po’ di paura, un po’ di Real

Roberto Beccantini15 febbraio 2017

E’ andata di lusso. Tre reti a una, cinque palle-gol a due. I numeri fissano il risultato e orientano la qualificazione. In Europa è diverso, almeno su certi campi, e il Bernabeu è uno di questi. Il dilemma era, caro ai feticisti dei fatturati e delle lavagne: i giocatori o il gioco? I giocatori. Soprattutto, se giocano di squadra, come il Real di coppa.

Zidane è riuscito a mascherare il mezzo Cristiano dell’ultimo scorcio. Sarri, viceversa, ha pagato l’eclissi di Mertens. Non è bastata, al Napoli, la genialata di Insigne che, complice un pisolo di Keylor Navas, aveva spaccato l’equilibrio. Il Real, che con Benzema aveva già sfiorato il gol, non ha fatto una piega, abituato com’è a gestire ogni tipo di pressione. Il Napoli, viceversa, si è tirato indietro, trasformando il possesso palla, se e quando così sterile, in succulenti bocconi per i denti di Modric, Kroos, Casemiro.

Koulibaly non era al massimo, Hamsik non ha preso per mano la squadra. Solo dopo il fulminante uno-due di Kroos (destro pettinato) e Casemiro (volée strepitosa), il Napoli ha cominciato a giocare come avrebbe dovuto sin dall’avvio: un avvio, non dimentichiamolo, dolce come un babà.

Gli spiccioli di Milik non so, oggettivamente, quanto valgano. Si sapeva che il Real di Champions sarebbe stato diverso dal gregge, sbiadito, di Pamplona. Si ignorava, in compenso, se e quanto il Napoli avrebbe domato emozione, tensione e omissioni difensive. Possiamo dirlo, serenamente: è stata dura.

La sfida non ha toccato picchi epici. Il ritmo, quello, lo dettavano i centrocampisti di Zidane, più generosi di tocchi che di garretti.

E adesso, per il ritorno, serve un 2-0. Qual è il problema? Pensare che il Real, al San Paolo, non ne segni nemmeno uno.

Da Riva a Higuain

Roberto Beccantini12 febbraio 2017

Vi confesso che, mentre premiavano Gigi Riva, mi sono emozionato. Ho pensato al calcio che fu, al suo Cagliari che se la giocava alla pari con gli squadroni, così alla pari da strappar loro uno scudetto titanico, alle gambe immolate per la patria, quando la Nazionale era un onore e non un fastidio, alla comodità di tifare per la Juventus o le milanesi.

Poi la partita, con quel vento impostore e il Cagliari che ci dava, e la Juventus menava, brutto il fallo di Marchisio su Dessena, lo stadio pieno, il gioco ispido come il pelo di un gatto terrorizzato.

L’equilibrio è stato squarciato da un lampo: assist verticale di Marchisio, Higuain che lo segue dopo averlo dettato e lo trasforma. La sfida, prima della follia rossa di Barella, è stata chiusa dal Pipita in capo un’azione che lui stesso aveva impostato, con la collaborazione di Cuadrado e Dybala. Diciotto gol, Higuain: capocannoniere, come Dzeko.

Del resto, mi preme sottolineare la paratona di Buffon sulla bomba di Pisacane e il miracolo di Rafael su Dybala, la cui distanza dalla porta continua a essere metà rosa e metà spine (per lui, per il suo ruolino). Rastelli le ha provate tutte: troppo forti, gli avversari. Magari non brillanti come il Napoli, che qui al Sant’Elia aveva banchettato, ma di un’altra categoria, di un’altra cilindrata.

Da sei anni sul pezzo, la Juventus riflette la flemma e le idee di Allegri. Da Firenze, e dal cambio di modulo, solo vittorie: 5 in campionato e 1 in coppa. Questa volta, ha lavorato a pieno regime la catena di destra (Lichtsteiner-Cuadrado) e meno quella mancina (Alex Sandro- Mandzukic, traversa a parte). La Champions, a cominciare dal Porto, ci indicherà il peso netto di una forza che, in Italia, sembra assoluta.

Nel ricordo del grande Rino

Roberto Beccantini8 febbraio 2017

Dal ring devastato di Juventus-Inter alla pennica di Crotone-Juventus. Dai colpi sopra e sotto la cintura di domenica al caos calmo del recupero. E’ stato il classico caso del chirurgo che si addormenta con il paziente in sala operatoria, il bisturi a mezz’aria e il possesso palla che si gonfia, si gonfia fino a scoppiare come un palloncino. Ogni tanto il calcio si appassiona alla saga di Davide contro Golia e lascia scriverla ai Dani Alves e ai Rincon di turno, un «non più e un «non ancora» (ma generoso, molto generoso).

Nicola si è difeso a catenaccio, Allegri aveva scelto Pjaca e non Cuadrado, Khedira e non Pjanic. Venivano, i campioni dall’ordalia con l’Inter, mai così tele-invasiva, e il ritmo d’approccio è stato molle. Troppo. E i passaggi, imprecisi. Troppo. Higuain, Dybala e Mandzukic erano accerchiati e mal forniti. A un certo punto Dybala è andato a destra, Pjaca a sinistra e Mandzukic vicino al Pipita. Non che siano diminuiti gli sbadigli; sono migliorati gli appigli.

Quando si gioca così – come a Palermo, come a Frosinone una stagione fa – pazienza e tempo sono sempre lì che si fiutano e si graffiano. Tocca al risultato alzare il braccio dell’una o dell’altro. I gol di Mandzukic e Higuain, la traversa di Pjanic, poi entrato, hanno promosso la pazienza. Pjaca era atteso al varco: deve scolpire il dribbling, non semplicemente disegnarlo. Non siamo ancora alle idi di marzo e il problema, generale, rimane la qualità e la continuità, specialmente adesso che gli attaccanti giocano tutti.

Zero ammoniti il Crotone, uno la Juventus. Ogni tanto, un po’ di camomilla non guasta. E se al Bar sport preferiscono i caffè doppi o macchiati, si servano pure. L’importante, per tutti, è che il cielo sia sempre più blu. Grande, grandissimo, Rino Gaetano.