Da Riva a Higuain

Roberto Beccantini12 febbraio 2017

Vi confesso che, mentre premiavano Gigi Riva, mi sono emozionato. Ho pensato al calcio che fu, al suo Cagliari che se la giocava alla pari con gli squadroni, così alla pari da strappar loro uno scudetto titanico, alle gambe immolate per la patria, quando la Nazionale era un onore e non un fastidio, alla comodità di tifare per la Juventus o le milanesi.

Poi la partita, con quel vento impostore e il Cagliari che ci dava, e la Juventus menava, brutto il fallo di Marchisio su Dessena, lo stadio pieno, il gioco ispido come il pelo di un gatto terrorizzato.

L’equilibrio è stato squarciato da un lampo: assist verticale di Marchisio, Higuain che lo segue dopo averlo dettato e lo trasforma. La sfida, prima della follia rossa di Barella, è stata chiusa dal Pipita in capo un’azione che lui stesso aveva impostato, con la collaborazione di Cuadrado e Dybala. Diciotto gol, Higuain: capocannoniere, come Dzeko.

Del resto, mi preme sottolineare la paratona di Buffon sulla bomba di Pisacane e il miracolo di Rafael su Dybala, la cui distanza dalla porta continua a essere metà rosa e metà spine (per lui, per il suo ruolino). Rastelli le ha provate tutte: troppo forti, gli avversari. Magari non brillanti come il Napoli, che qui al Sant’Elia aveva banchettato, ma di un’altra categoria, di un’altra cilindrata.

Da sei anni sul pezzo, la Juventus riflette la flemma e le idee di Allegri. Da Firenze, e dal cambio di modulo, solo vittorie: 5 in campionato e 1 in coppa. Questa volta, ha lavorato a pieno regime la catena di destra (Lichtsteiner-Cuadrado) e meno quella mancina (Alex Sandro- Mandzukic, traversa a parte). La Champions, a cominciare dal Porto, ci indicherà il peso netto di una forza che, in Italia, sembra assoluta.

Nel ricordo del grande Rino

Roberto Beccantini8 febbraio 2017

Dal ring devastato di Juventus-Inter alla pennica di Crotone-Juventus. Dai colpi sopra e sotto la cintura di domenica al caos calmo del recupero. E’ stato il classico caso del chirurgo che si addormenta con il paziente in sala operatoria, il bisturi a mezz’aria e il possesso palla che si gonfia, si gonfia fino a scoppiare come un palloncino. Ogni tanto il calcio si appassiona alla saga di Davide contro Golia e lascia scriverla ai Dani Alves e ai Rincon di turno, un «non più e un «non ancora» (ma generoso, molto generoso).

Nicola si è difeso a catenaccio, Allegri aveva scelto Pjaca e non Cuadrado, Khedira e non Pjanic. Venivano, i campioni dall’ordalia con l’Inter, mai così tele-invasiva, e il ritmo d’approccio è stato molle. Troppo. E i passaggi, imprecisi. Troppo. Higuain, Dybala e Mandzukic erano accerchiati e mal forniti. A un certo punto Dybala è andato a destra, Pjaca a sinistra e Mandzukic vicino al Pipita. Non che siano diminuiti gli sbadigli; sono migliorati gli appigli.

Quando si gioca così – come a Palermo, come a Frosinone una stagione fa – pazienza e tempo sono sempre lì che si fiutano e si graffiano. Tocca al risultato alzare il braccio dell’una o dell’altro. I gol di Mandzukic e Higuain, la traversa di Pjanic, poi entrato, hanno promosso la pazienza. Pjaca era atteso al varco: deve scolpire il dribbling, non semplicemente disegnarlo. Non siamo ancora alle idi di marzo e il problema, generale, rimane la qualità e la continuità, specialmente adesso che gli attaccanti giocano tutti.

Zero ammoniti il Crotone, uno la Juventus. Ogni tanto, un po’ di camomilla non guasta. E se al Bar sport preferiscono i caffè doppi o macchiati, si servano pure. L’importante, per tutti, è che il cielo sia sempre più blu. Grande, grandissimo, Rino Gaetano.

Molto istruttiva

Roberto Beccantini6 febbraio 2017

E’ stata una partita bella per un tempo e poi aspra, come da archivio. Sul piano del gioco si può dire tutto quello che si vuole, e cioè che l’Inter, a tratti, ha preso possesso del centro del ring e spinto la Juventus alla corde. A livello di occasioni, viceversa, non c’è stata gara. Il gol di Cuadrado (e che gol: sassata di destro, alla Totti), due traverse, Handanovic sempre sul pezzo contro un gran tiro di Joao Mario e un paio di brividi.

Allegri aveva confermato il movimento cinque stelle. Pioli, lui, aveva scopiazzato la vecchia Juve, aggiungendo Medel a Miranda e Murillo, allargato per tenere d’occhio quell’armadio di Mandzukic. Il problema di «questa» Juventus resta il rapporto fra opportunità e gol: se non chiudi le partite, l’esubero di punte e mezze punte può trasformarsi in zavorra, come hanno documentato le guance offerte al contropiede del deludente Perisic e, per la proprietà transitiva delle flessioni, il ricorso d’urgenza a Rugani.

E’ stata una notte disegnata dagli uncini di Chiellini, focoso collezionista di tackle e di bolge. Chiellini, e poi Mandzukic, e poi Higuain. Forza e dedizione, virtù che andranno abbinate a un gioco possibilmente meno frammentario.

Mi era piaciuta di più l’Inter di de Boer, all’andata, ma è pur vero che quella era un’altra Juventus. Pioli ha mescolato le carte, in avvio e durante: ha tirato poco, l’Inter, ed è calata alla distanza, spersa nel labirinto juventino.

I guizzi balistici di Dybala e Pjanic, il lavoro sporco di Gagliardini: non è stata un’ordalia vana. Lascia la solita polvere da sparo, dal rosso di Perisic al Rizzoli contestato. Vero, Chiellini e Mandzukic hanno rischiato il rigore, ma cinque ammoniti della Juventus contro uno (parlo di falli, non di proteste) costituiscono una contabilità strana. E comunque: 28a. vittoria consecutiva in casa e migliore in campo, il portiere avversario.