Qualcosa di sinistra

Roberto Beccantini29 gennaio 2017

Dopo aver reso omaggio al talento infinito di Roger Federer e al suo degno rivale, Rafa Nadal – perché proprio a questo servono i grandi avversari a rendere grandi le vittorie – eccomi a scrivere di una delle rare «sinistre» che ci sono rimaste, la sinistra della Juventus. I gol che hanno steso il Sassuolo, entrambi splendidi, sono nati proprio lì, sulla fascia mancina.

Il primo: tacco di Mandzukic, volata di Alex Sandro, esterno destro di Higuain. Il secondo: cross del Pipita, velo di Dybala, gancio di Khedira. Allegri aveva confermato il «Movimento cinque stelle». Due reti, un palo (di Dybala), non meno di tre occasioni sciupate o parate. A fronte di un unico duplice salvataggio di Buffon (39 anni da sabato, auguri).

Da queste parti, Allegri non aveva mai vinto. E il 28 ottobre della scorsa stagione aveva toccato il fondo. Per la cronaca, e per la storia, è il terzo successo, in altrettante partite, firmato dal quattro-due-Avanti Savoia. Il più netto. Migliore in campo, per distacco, Gonzalo Higuain: pressatore (su Cannavaro, nell’azione del raddoppio), suggeritore, realizzatore. La squadra si è mossa a sciami, e qua e là mi è sembrata persino felice dei sacrifici ai quali l’esubero di punte la costringeva.

Il Sassuolo di Di Francesco non è più il Sassuolo d’antan, ma c’era Berardi. L’uno-due di Higuain e Khedira ha disarmato quei clienti, focosi, che erano entrati nel saloon buttando all’aria bicchieri e caviglie. Se escludiamo un paio di Bonucciate, i cross di Lichtsteiner e un numero circense di Alex Sandro da ultimo uomo, la Juventus mi è piaciuta: come spirito, soprattutto. La svolta tattica di Allegri, in attesa che l’Inter la pesi sulla bilancia delle sue sette vittorie, funziona. Anche se continuo a non capire perché non impieghi tutti i cambi.

Elementare, Stadium

Roberto Beccantini22 gennaio 2017

Non sarà certo merito di noi pennivendoli se, battendo la Lazio, la Juventus ha scolpito la 27a. vittoria consecutiva in casa, ma neppure colpa se ha perso quattro delle ultime nove trasferte. Ecco qua le dogane estreme della capolista. Nel calcio molto è possibile, se l’idea viene condivisa e la carne risulta forte come lo spirito. Alludo al «logo» disegnato da Allegri per l’impegno odierno, un quattro-due-Avanti Savoia che ha prodotto il solito quarto d’ora di «superiorità» e poi una placida gestione dell’ordalia.

C’erano tutti. Pjanic più Cuadrado più Mandzukic più Dybala più Higuain. Il sinistro pettinato di Dybala (complice Marchetti) e la zampata di Higuain hanno fissato muri troppo alti per una Lazio che, con le Grandi, fatica a sfamare le ambizioni che in cuor suo coltiva.

E così si celebra l’ennesima reazione all’ennesimo schiaffone. La Juventus degli zero pareggi (in campionato, almeno) avrebbe potuto, o forse dovuto, dilagare in contropiede. Solo che è stata parca e quei pochi, li ha sciupati (con Dybala).

Per la cronaca, e per la storia, la Juventus ha sempre e solo perso dopo una partita di coppa: tre di Champions, una di Coppa Italia (con l’Atalanta). E domenica andrà a Reggio Emilia per sfidare quel Sassuolo che, un anno fa, sembrava la sua lapide e invece diventò la sua fionda, dopo aver sfidato il Milan nei quarti del nostro torneo di scorta. I numeri vanno presi per mano, ma spesso indicano tendenze.

Cos’altro aggiungere? Che Mandzukic, pur di giocare, giocherebbe anche in porta. Che un centrocampo così è una seducente scollatura. Che la fase difensiva (a quattro) ha concesso briciole. Che la Juventus a ritmi «normali» sa addormentare gli avversari senza addormentarsi. Elementare, Stadium.

Gli hanno rubato l’idea

Roberto Beccantini15 gennaio 2017

Oh comandante! Mio comandante! Allegri ci aveva messo la faccia: si va a Firenze a comandare. Gli hanno rubato l’idea. Soprattutto nel primo quarto d’ora, quando Vecino sembrava Mosè e la Bbc della Juventus il Mar Rosso. Un palo scheggiato, due parate di Buffon (la seconda su Chiesa) e una rumba che vi raccomando. Con Kalinic a segno più avanti, su imbeccata di Bernardeschi. Perché sì, c’era anche lui. Come c’era Dybala (in edizione Doha, però). E come c’era Higuain, quando si ricordavano che c’era.

A poco a poco, la partita è diventata puro wrestling, con un arbitro fin troppo tollerante (e sul braccino di Gonzalo Rodriguez, da rigore, rimando al mani-comio) e la capolista prigioniera dei suoi errori, dei suoi cali. Il 3-4-2-1 di Paulo Sousa era fiamma; il 3-5-2 della Juventus, legna. Senza Pjanic, e con Dybala sotto media, Marchisio, Khedira e Sturaro non riuscivano a riempire la solitudine di Higuain.

La Fiorentina alternava il pressing ai lanci lunghi per Kalinic (te la do io la Cina). La Juventus ha sofferto sempre, prima l’avversario e poi la propria tirchieria. Non è riuscita a cambiare marcia, se non a spallate. Le succede spesso, pure in Italia, quando i dirimpettai le ringhiano in faccia.

Da come si è giocato, Paulo Sousa ha dimostrato di sapere tutto della Juventus; Allegri, poco della Fiorentina. Federico Chiesa ha 19 anni ed è figlio d’arte. Che abbia toccato o meno l’avvelenata di Badelj, non importa: anche se è bastato per confondere Buffon. Ha spremuto Alex Sandro, si è preso la fascia e l’ha difesa come se fosse il Piave.

Il gol di Higuain (toh, un passaggio) è roba da tabellino, come l’ingresso di Pjaca, lo sgorbio di Dybala e lo slalom di Ilicic. La Fiorentina ha chiuso i boccaporti e riaperto il campionato. Sconfitta più (la quarta), partita meno (a Crotone).