Dalle lamiere contorte di due squadre in crisi, non poteva uscire viva che quella più motivata, più cocciuta. Così è stato. E per questo ha vinto la Lazio. D’accordo, al 93’, su cross di Guendouzi (a proposito, uno dei cambi) e testa di Marusic, in anticipo secco su Sekulov (a proposito: uno dei cambi, classe 2002, attaccante di ruolo e stopper d’emergenza).
La prima laziale di Tudor. La cinquecentesima in A di Allegri. Il vice del vice di Pirlo ha ritoccato i dogmi sarriani (da 4-3-3 a 4-2-3-1), mescolato un po’ di carte e mischiato un po’ di funzioni (Felipe Anderson più mezzala che ala) e invitato i suoi a crederci. Max, viceversa, ci aveva venduto il più falso dei 4-3-3, con il ritorno di De Sciglio (!) e l’avanzamento di Cambiaso. Più Kean a fare sportellate e Chiesa a buttarsi sulle briciole (un diagonale smanacciato da Mandas e il resto, noia). I moduli sono fette di pane: dipende da come le farcisci.
Una vittoria in nove partite, il quarto posto e la Champions sempre più a rischio: adesso che agli sgoccioli degli sgoccioli segnano i Marusic e non i Cambiaso o i Rugani, non ci sono più specchi sufficienti sui quali arrampicarsi. Yildiz, chi scrive, l’avrebbe rischiato «con» Kean e Chiesa, e non al posto di Federico. Vero, mancavano Vlahovic e Milik, ma non è che dall’Empoli in poi la loro presenza avesse ispirato tracce solide, suggerito sentieri fecondi.
Tudor, altro non ha fatto che spingere indietro il più possibile una squadra che indietro già molto spinge di suo. Puoi rischiare qualche contropiede e in qualche situazione (a inizio ripresa, per esempio), ma è come nelle lotterie: più biglietti acquisti, più speranze coltivi. Difatti.
Martedì sera, allo Stadium, andata delle semifinali di Coppa Italia: ancora Juventus-Lazio. Ritorno, all’Olimpico, il 23 aprile. Che sarà sarà . Ma sulla fiducia ad Allegri, bé, sarebbe il caso che chi sfoglia la Margherita ci pensasse a fondo.