Over the rainbow della propaganda, sono comparsi i valori. Bayern tre, Lazio zero. Bayern ai quarti di Champions, Lazio a casa: con la malinconia di chi, più debole, almeno ci ha provato. Dagli sgorbi di Upamecano agli affreschi di un branco tornato squadra: ognuno al suo posto. Il rigore di Immobile era scudo fragile: si sapeva. E proprio Ciro, al 37’, si mangiava, di testa, una rete che chissà cosa avrebbe prodotto. Anche perché, poco dopo, Harry Kane, fin lì ombra, buggerava di crapa Provedel (ahi, ahi). E agli sgoccioli del recupero, ecco De Ligt e castigo (non è mia, è del gentile Bilbao) correggere al volo l’ennesimo corner e Thomas Muller inzuccare sotto misura.
Fine della trasmissione. Dicono che Tuchel sia ormai alla frutta: e che Muller ne abbia raccolto il megafono. Rimane la prestazione: la migliore della stagione. Come ha ribadito la terza ciliegina di Kane, in tap-in. Sarri se l’è giocata con le sue idee (4-3-3 sempre e comunque: uffa) e con i piedi dei suoi guerrieri. Piano piano, gli avversari ne hanno accerchiato il fortino e svuotato il taccuino.
Le serpentine di Musiala (classe 2003), la regia calma ma non lenta di Pavlovic (2004), la birra di Kimmich, le volate di Sané, i cingoli di Goretzka: alta categoria. Sul fronte opposto, il massimo possibile (di Luis Alberto, di Felipe Anderson, di Zaccagni, del capitano) non poteva essere, oggettivamente, il massimo che serviva. Neuer, zero parate. E da Muller, animatore della serata, pure un palo.
Già persi «scudetto» (il primo dopo undici consecutivi) e Supercoppa, già fuori dalla Coppa domestica, al Bayern non resta(va) che l’Europa. L’ha messa su un ritmo-ragnatela che finiva per invischiare e scoraggiare una Lazio tradita, anche, dai ruttini delle punte. Il mio pronostico era: 60% a 40% per il Bayern. «Ist das Leben»: è la vita.