Cari centimetri vi (ri)scrivo

Roberto Beccantini7 dicembre 2014

Cari centimetri vi (ri)scrivo, così mi distraggo un po’. Premesso che l’espulsione di De Rossi, per cumulo, era netta; che De Sanctis deve decidere cosa fare da grande, e di grande (se l’oratore o il portiere); e che il Sassuolo avrebbe dovuto gestire meglio il 2 a 0 e l’11 a 10, questa volta non ho visto né sentito i violini di Garcia.

Se parlo di scorte, si arrabbia il gentile Riccardo Ric. Se non ne parlo, inveisce il resto della Clinica. Vado, così, «droit au but». La scivolata di Vrsaljco sul tiro di Gervinho, con la palla che, per questione di centimetri, rimbalza prima sul corpo e poi sul braccio, mi ha ricordato lo strano caso del dottor Granqvist e del signor Lichtsteiner in una Juventus-Genoa dell’era Conte. Guida disattese il consiglio di Romeo – allora giudice di porta, oggi addetto agli arbitri dell’Inter – e non indicò il dischetto («Non se l’è sentita», avrebbe poi confessato Romeo). Irrati, invece, se l’è sentita.

Sul mani-comio, prima e dopo il dossier Maicon, sapete come la penso. La penso come Omar Sivori (se il gentile Fulvio permette, il «mio» Omar): tutti rigori. Il rugby scelse le mani, il calcio battezzò i piedi. Volontarietà e involontarietà sono concetti nobili, ma pericolosi: soprattutto, se «maneggiati» dagli italiani, usi a obbedir titolando. Per tacere del «volume» e della cianfrusglia che ci hanno tirato dietro.

Il pareggio di Ljajic era viziato da un fuorigioco di Florenzi. Ma un fuorigioco così piccolo, di così pochi centimetri da fare quasi tenerezza, ammesso che fossero centimetri e non millimetri, come giurano nella capitale. Per questo, e perché magari a Roma hanno altro cui pensare, come chiosava l’arguto Ezio, dubito che ci saranno interrogazioni parlamentari. Mi chiedono i degenti: e se in quel modo, al 2-2, fosse arrivata la Juventus? Che domande.

Poco di buono

Roberto Beccantini5 dicembre 2014

E’ stata una partita aspra, aggrovigliata, molto italiana. Chi la sa corta avrebbe scritto orrenda. Con un paio di paratine di Neto (su Evra e Bonucci) e una parata di Buffon (su Cuadrado). Zero a zero i brividi, uno a uno gli episodi piccanti: l’abbraccio di Chiellini a Gomez e, agli agoccioli, il braccio di Pizarro. Rizzoli è abituato a ben altro, evidentemente.

Per la cronaca, e per la storia, nessuno meritava di vincere. La Fiorentina ci ha provato di più nel primo tempo, la Juventus nel secondo. La moria di esterni aveva suggerito ad Allegri il ritorno alla difesa a tre. I duellanti si sono passati il possesso-palla come se fosse un pacco: il pressing alto (?) non c’entra un tubo; qui arretrava Pirlo, là rinculava Borja Valero. Da ogni errore, si sprigionava un contropiede.

Portieri a parte, senza voto o quasi, è difficile sparpagliare qualche sufficienza. Sul fronte Fiorentina, bene il pacchetto difensivo; sul fronte Juventus, grande Bonucci. Il tackle scivolato su Gomez, in piena area, vale un gol.

Montella ha recuperato il miglior Borja Valero (per un’ora, almeno), i campioni hanno osato poco, preoccupati e indecisi com’erano. L’Atletico di martedì qualcosa gli ha tolto. Alla Fiorentina manca un giocatore da venti gol. L’aveva, si chiama Giuseppe Rossi e non è ancora pronto. La Juventus ha limitato Cuadrado, e fallito gli uno contro uno decisivi (persino Pogba). Pereya esterno destro ha sofferto la «lontananza» dal ruolo, Coman incarna un’idea che, temo, non avrà seguito (o ne avrà poco).

E’ stato un inno agli indizi, alle tracce. Ma prove di bel calcio, nessuna. Anche quando ha cercato di metterla sul fisico, la capolista ha trovato pane per i suoi denti. Per concludere, mi rivolgo alle «vedove»: Allegri ha due punti in meno di Conte che la scorsa stagione a Firenze, complice Pepito, aveva perso 4-2. Che si fa?

Tra storia e cronaca

Roberto Beccantini30 novembre 2014

Mi sono alzato in piedi. Gol così fanno la storia, non la cronaca. Ricorderemo sempre i 78 metri di Bruno Peres, l’Evra mangiato, il Vidal arreso, il Chiellini amletico, il palo sventrato, lo Storari stecchito. Tutti in piedi, pazienti miei: non c’è derby, non c’è rivalità, non c’è nulla che possa evitare o ritardare l’applauso.

Che poi abbia vinto la Juventus, con un tracciante di Pirlo al minuto 93 (anche i dettagli vanno curati) e in dieci contro undici (Lichtsteiner era finalmente «riuscito» a farsi espellere), questa è cronaca, non storia. Il Toro non segnava dal 24 febbraio 2002 e continua a non vincere, addirittura, dal 9 aprile 1995. Aveva limitato i danni, fino almeno allo sparo fatale, aveva sfiorato il raddoppio con Quagliarella, sembrava in assoluto controllo dell’ordalia, al netto del giro-palla juventino, non vi dico che barba, e del Gillet turista. Aveva blindato le fasce, Ventura, ricavandone un agio non certo marginale.

La Juventus ha pagato il gol facile su rigore, l’abuso di calcoli, il coraggio che, attraverso l’adrenalina del pareggio, aveva trasformato il catenaccio dei granata in una difesa meno pavida. L’epilogo ha ricordato l’asso calato da Bonucci al termine di Juventus-Roma. Allegri non poteva fare molto di più o di meglio, «tradito» com’è stato, per imprecisione o cottura, dal fior fiore dei califfi: Tevez, Marchisio, Pogba, Vidal, lo stesso Pirlo.

Sembrava un pareggio scritto, ed equo, con Ogbonna al posto di Tevez per evitare che le pagliuzze diventassero travi. La superiorità numerica avrebbe dovuto spingere il Toro a osare di più? Forse. La Juventus ci ha provato, sfinita ma infinita. Il gollissimo di Bruno Peres e il gollone di Pirlo hanno nobilitato un derby ben diretto da Orsato. Le vie del calcio sono proprio infinite.

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