Coppa in serbo

Roberto Beccantini15 maggio 2024

Era la fine di un’era, l’era dell’Allegri bis. E’ stata vittoriosa, orgogliosa e dignitosa. A parte lo spogliarello con l’urlo «Vergogna» e la domanda che, sputata da un mister gobbo, farà il giro del Web: «Dov’è Rocchi?». E’ la quindicesima Coppa Italia, la quinta del Max espulso. L’Atalanta esce in bolletta e Gasp trafitto dalle solite frecce: un milione di idee ma zero titoli.

Le finali vanno vinte. Il gioco viene dopo. Madama l’ha vinta perché aveva il centravanti, Vlahovic, e la Dea no: Scamacca squalificato, De Ketelaere fuori posto, Touré disarmato. Il serbo: voto otto. The best. Subito in gol (un bel gol: di destro, su imbucata di Cambiaso), concessionario di un probabile rigore (di Hien), autore di un raddoppio cancellato da un offside di mezza scarpa.

La partita. Se non è stata l’Atalanta che per un’ora aveva asfaltato la Roma, c’entra la pressione, sì, ma anche (posso?) il muro mobile di una squadra che, fra Nicolussi Caviglia e Iling-Junior, ha interpretato e applicato al meglio l’unico calcio che, sotto questa gestione, sa produrre. Il palo scheggiato di Lookman non eguaglia certo la traversa di Miretti. Sul piano degli episodi, e delle occasioni, nessun dubbio: Juventus. Sul resto, scannatevi pure: Atalanta 66% di possesso, Juventus 34%. Certo, una rondine non fa primavera e forse, pensando all’allenatore, neppure la indica: ma era un atto senza appello, e come tale il risultato merita rispetto. Soprattutto, se sofferto e voluto.

Per 99′ hanno cercato un ago nel pagliaio, i bergamaschi. Gli è stato nascosto. Non era la Juventus del girone di ritorno, tutta sbadigli e topiche. E’ stata una Juventus sempre sul pezzo, chiusa, sì, ma non a chiave. Non il miglior Chiesa. Il miglior Vlahovic. Zona Champions, Coppa Italia: dopo tre anni complicati, il futuro sarà diverso, non so se migliore. Sicuramente di un altro. E alla Dea, auguri per Dublino.

Bologna «champione»

Roberto Beccantini12 maggio 2024

l 7 giugno del 1964, il Bologna si laureava campione d’Italia per la settima e ultima volta. Il 14 ottobre del 1964, a Barcellona, usciva dalla Coppa dei Campioni (si chiamava così, allora), battuto, non dall’Anderlecht, ma da una moneta. Sono passati sessant’anni. Il Bologna è in Champions: per la sconfitta della Roma a Bergamo; soprattutto, per il gioco che ha prodotto, brillante e moderno; e, questo, grazie a un allenatore straordinario, uno dei pochi che hanno aggiunto valore e non propaganda: Thiago «Drago» Motta. Giù il cappello. Complimenti alla società, dal presidente Saputo a Sartori, l’uomo mercato.

Sono felice per la città, per gli amici quaggiù e il Civ lassù. Dedico al Bologna e a Bologna il mio pronostico apparso su «Eurosport» il 18 agosto 2023, all’alba dell’avventura. Troppo comodo, salire sul carro «dopo».

Posizione in griglia, decimo posto. Spiegazione: «Thiago Motta, ai ferri corti con il boss Saputo, ha perso le lune di Arnautovic e il righello corazzato di Schouten. Travi, non pagliuzze. Sotto con l’ondata dei Beukema e Ndoye. Scritto che Orsolini schiavizza le fasce e Dominguez è il «Piave», urge un nove che la butti dentro: Zirkzee? O esplode o implode».

E’ esploso.

La «vera» impresa

Roberto Beccantini12 maggio 2024

Altro che l’Inter della seconda stella. Altro che il magnifico Bologna di «Drago» Motta o la Dea del Gasp che passa ad Anfield, sculaccia il Marsiglia e viene sommersa di coccole persino da «L’Equipe». La vera impresa la stanno realizzando la Juventus e Allegri: non battere in casa manco la Salernitana, con tutto il rispetto. E dover condizionare l’immeritato ingresso in Champions ai risultati della concorrenza. Per carità, gli ultimi saranno i primi, lo dice il vangelo. Il calcio però nasce laico e dovrebbe esserci un limite a tutto, a tutti. Complimenti a Pierozzi – suo il gol di testa che sgonfia lo Stadium, complice uno Szczesny un po’ così – a Colantuono e a una società che, pur retrocessa, sale a Torino e se la gioca. E fortuna «gobba» che il polacco si riscatti su Ikwuemesi, guanto a ghermire la palla. E che, al 97’, Basic alzi sopra la traversa dal cuore di un’area ormai svaligiata.

Quinto pareggio consecutivo. Quarto posto in classifica: come, modestamente, avevo previsto (fidatevi, qualche volta). Scoprire oggi l’Allegri bis è esercizio uggioso, lo stesso dicasi per certi alluci, per certe anime. Per carità, i tre legni (nell’ordine: di Vlahovic, Cambiaso e Miretti) ribadiscono che il destino non ne può più; e che il rasoio di Rabiot, in mischia, non è manna dal cielo: dal campo, se mai.

Lasciamo perdere il gioco, da febbraio crollato ai minimi storici come Wall Street nel 1929 (ma non è che prima…). La finale di coppa con l’Atalanta, mercoledì all’Olimpico, ha suggerito una formazione che, oggettivamente, avrebbe dovuto comunque spezzare le reni «almeno» alla Salernitana (ripeto: chapeau). Invece no. Sono entrati Chiesa, Iling-Junior, Yildiz, Miretti e Milik. L’urgenza e la foga hanno agitato fischi a ogni processione. Sino alla lotteria del 92’.

Dedicato ai trombettieri della Superlega.