Non è il caso di scendere in piazza, o stappare champagne di nascosto. A Oslo, però, non si vinceva dal 1937, dai tempi di Meazza e Piola. Con l’Olanda la partita era durata dieci minuti. Con la Norvegia un’ora abbondante. I nordici sono crollati dopo il raddoppio di Bonucci, propiziato da un cross di Pasqual, appena entrato. Fortuna audaces iuvat: penso, anche, alla carambola sul sinistro spacca-equilibrio di Zaza.
Due a zero più due a zero: e questo, di Oslo, vale per gli Europei. Conte prende su e porta a casa. Lavori in corso, certo, e nulla di rivoluzionario sul piano del gioco: se mai, un calcio più verticale di quello caro a Prandelli. Però due cose: tra Bari e Oslo abbiamo concesso una sola palla-gol (a Van Persie) e mandato a rete tutti i reparti. L’attacco (Immobile, Zaza), il centrocampo (De Rossi, ancorché su rigore), la difesa (Bonucci).
Precipitati al 53° posto del ranking Fifa, i norvegesi non sono più i pivottoni d’antan. Non per niente, hanno perso undici delle ultime dodici gare. Ciò premesso, è stata un’Italia più di lotta che di governo, capace – e questo è un merito – di convivere con i propri limiti e di remare, tutta, nella stessa direzione: ai Mondiali, non sempre era successo.
L’intesa tra Immobile e Zaza cresce. Sono complementari, disturbano l’uscita dei difensori (anche se un po’ meno, questa volta), si cercano, sanno colpire. Zaza deve imparare a segnare i gol facili: é la banalità del «bene», a fissare il podio dei cannonieri. Conte, lui, deve aggiungere un tocco di fantasia alla manovra e lavorare sull’atteggiamento, ancora lontano dallo «sturm und drang» della sua prima Juventus.
Postilla. La Nazionale di Conte si è mangiata Olanda e Norvegia. L’Under di Di Biagio ha spolpato Serbia e Cipro, guadagnando i play off. Odo strani rumori attorno al carro «estinto». Vuoi vedere che il modellino italiano, sotto sotto…