Ha perso, la Juventus, come spesso vinceva: punita da un errore (di Al’ex Sandro), da uno dei rari tiri degli avversari (Giannetti Lautaro, nomen omen) e da un catenaccione che Cioffi ha «rubacchiato» ad Allegri (una volta). Per la cronaca, e per la storia, l’Udinese, squadra molto fisica, aveva battuto addirittura il Milan a San Siro e piano, dunque, con le battute salaci e fallaci. Walace, un gigante; Samardzic, pochino ma un sinistro birichino; il resto, tutti indietro appassionatamente.
Il pari con l’Empoli ha spento la luce. Passi arrendersi al Meazza, l’Inter è l’Inter, ma insomma: scambiare il 70% di possesso palla per reazione feroce, uhm, lasciamolo ai maniaci. Non sono mancate le occasioni – una con Cambiaso, due con Milik; l’ultima, agli sgoccioli, di Yildiz – è mancato tutto il resto. La velocità , la passione, il dribbling, la mira. E pure un pizzico di fortuna: penso alla traiettoria di Chiesa, di un pelo fuori, che ha invalidato il pari di Milik.
Non ho capito la formazione del Feticista: perché Al’ex Sandro; perché non subito il turco – anche se ogni volta che entra non possono chiedergli miracoli – perché a un certo punto fuori Chiesa, finalmente titolare e tra i rari fiammiferi che accendevano quei radi falò fumanti (lui, e Cambiaso); perché, al limite, non Kostic. Centrocampo piatto, Locatelli di un grigiore desertico, McKennie ignorato per un tempo, Rabiot in versione bandolero stanco; e poi, naturalmente, i piedi. Quei piedi, in generale. Un disastro. Ha chiuso, la Signorinella, con Iling-Junior, Nicolussi-Caviglia e addirittura Cerri, un pivottino di 20 anni. Non esattamente la panchina di Inzaghi e Pioli.
Certo, l’assenza di Vlahovic. Ma un punto in tre partite, uno solo fra Empoli e Udinese. Con tutto il dispetto, Allegri l’aveva sempre detto: occhio alla quinta. Birbante di un livornese.