Quando il gioco si fa duro

Roberto Beccantini5 luglio 2014

Hummels di testa, da punizione. Thiago Silva con il ginocchio, da calcio d’angolo. David Luiz su punizione. (E poi James Rodriguez su rigore). Non una rete su azione. I difensori hanno orientato i quarti. Non solo con i gol, ma anche con l’atteggiamento. Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare; e a segnare.

Al netto di un equilibrio spaccato più dagli episodi che da vere e proprie dittature, Francia-Germania 0-1 e Brasile-Colombia 2-1 ci hanno raccontato due storie di calcio. La prima è stata camomilla; la seconda, caraffa di caffè. Non è un caso che abbiano deciso quelli che i francesi chiamano «domestiques», gregari. Loew ha riesumato Klose e affidato al palleggio la gestione della partita, sbloccata già in avvio. Tra i bleus mi ha deluso Pogba. Lezioso, fumoso. Non credo che siano stati cinque metri più avanti o più indietro a zavorrarne la personalità. A 21 anni, resta un fior di giocatore e un progetto di fuoriclasse. In attesa di scegliere il ruolo – in futuro alla Pirlo, ma oggi? – deve imparare a prendere le grandi partite per le corna. Già a Istanbul l’aveva presa per la coda.

Brasile e Colombia si sono graffiati ai cento all’ora. Mi arrendo di fronte a simili baraonde, soprattutto in rapporto ai ritmi sbadiglianti dei nostri, dalla Nazionale ai club. Neymar e James Rodriguez si sono messi l’elmetto, a differenza di Pogba, e così conciati hanno accettato la caccia al talento.

Manca un rosso a Julio Cesar: l’arbitro, spagnolo, ha «contato» molto ma «pesato» poco (i falli). Parafrasando il Messico di Porfirio Diaz, la squadra di Scolari mi è parsa molto lontana dal samba e molto vicina al «batti e corri» degli europei. La squalifica di Thiago Silva complica la semifinale con la Germania. David Luiz, assatanato, continuo a preferirlo davanti alla difesa più che al centro. Cuadrado è sceso di rendimento, non ho capito l’impiego di Guarin: legato alla propria area, serve a poco.

Il portiere

Roberto Beccantini1 luglio 2014

Vi consiglio un libro di Jonathan Wilson: «Il portiere». Racconta l’evoluzione del ruolo dall’alba del calcio fino ai vincoli blatteriani sul retropassaggio. E oltre, molto oltre. Mi sono venuti in mente, il libro e il portiere, guardando Manuel Neuer nel corso di Germania-Algeria, vinta con merito dai tedeschi e persa a testa altissima dagli avversari.

Non c’entra la quantità delle parate: se è per questo, M’Bholi ha parato molto di più. E sia Ochoa del Messico sia Navas di Costa Rica hanno toccato, con i loro avvitamenti, picchi romanzeschi. C’entra la maniera in cui Neuer ha fatto il portiere. Da autentico «Outsider», che è poi il titolo originale del tomo di Wilson.

Neuer ha 28 anni, pesa 92 chili ed è alto 1,93. Come stazza, mi ricorda Peter Schmeichel, il ciclope del Manchester United e della Danimarca. Montagne di ciccia, entrambi. E la porta, dietro di loro, minuscola come la cruna di un ago.

Questa è la fotografia. Adesso comincia la filosofia. Per il modo in cui la squadra di Loew si propone – o almeno, per come si è proposta contro l’Algeria – Neuer ha giocato da battitore libero. Fuori area: molto fuori, spesso. Una sorta di carro attrezzi a disposizione di difensori non proprio impeccabili, e comunque insidiati dai ribaltoni altrui. Neuer è riuscito addirittura a trasformare un mezzo errore in presa, al culmine di una bolgia dantesca, in un assist chilometrico per Thomas Muller. Tu chiamali, se vuoi, riflessi.

Sembrava Jan Jongbloed, il portiere tabaccaio dell’Olanda totale di Rinus Michels e Johan Cruijff. Tackle scivolati e mirati. Piedi prensili e non sbiroli. Visione di gioco da regista arretrato, più che da portiere avanzato. Il tutto, senza il benché minimo orpello higuitiano. Alla tedesca.

Di solito, queste analisi portano una iella pazzesca. Lo so. Ma so anche che Neuer la meritava.

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The end

Roberto Beccantini24 giugno 2014

E’ finita con il carro attrezzi del soccorso Juve tamponato da un avversario normale e un gol speciale. Diego Godin, garra charrua. Barcellona, Real, Italia: ecco i suoi scalpi. E che scalpi. E’ finita con le dimissioni di Prandelli e Abete, nell’ordine e nel disordine. Non so se il livello del nostro calcio sia questo, so solo che nelle coppe europee la Juventus e le altre molto di più o molto meglio non avevano fatto.

Ho sbagliato pronostico. E non penso all’arbitro come al male assoluto: avrei espulso Suarez per il morso a Chiellini e non Marchisio per la pedata ad Arévalo Rios, ma c’era pure un rigore di Bonucci su Cavani. Rodriguez ha spaccato l’equilibrio: non è poco, non è tutto.

Il migliore è stato Buffon. Il peggiore, Balotelli. Penoso. Sono questi i confini del fallimento. Di suo, Prandelli ci ha messo una duttilità tattica così smaccatamente ballerina da lasciare sbalorditi. Dal 4-1-4-1 al 3-5-2: e così sia. Non mi spiego, in compenso, la rinuncia sistematica al tiro. Come se cercare la porta fosse diventato un atto impuro. Immagino che queste non fossero le consegne, ma rimane lo zero in casella. Parlo di tiri veri. E’ stato un comico calando: tre o quattro con l’Inghilterra, un paio con Costa Rica, manco uno con l’Uruguay. E avesse almeno azzeccato un cambio, il ct.

Dicono che sia stata sbagliata la preparazione a Coverciano. Di sicuro, abbiamo corso poco e male. Questo dei ritmi bassi non è un mio pallino, e nemmeno un’esclusiva della Nazionale: già nelle coppe europee avevamo avuto saggi agghiaccianti.

Sbaglia, Prandelli, a fare la vittima. Non ricordo una Nazionale più coccolata della sua. Resta il degrado tecnico del nostro calcio, ben oltre le sue responsabilità. A quanto mi date l’apertura di un’inchiesta sul perché non impieghiamo i giovani?

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